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La storia che Fabrizio Caberlon – nato a Bassano del Grappa, vissuto a Oliero, Vicenza e attualmente a Padova, insegnante di italiano e storia ora in pensione – racconta nel libro, Una storia in Valbrenta (Schena editore) è un viaggio nella memoria familiare dove i protagonisti sono i nonni materni contornati da altri parenti e compaesani. C’è la gente della Valbrenta, ma c’è anche il tema delle migrazioni, della coltivazione del tabacco che dava da mangiare a molti e c’è anche l’aspirazione a una vita migliore.
«L’essenza della storia – spiega l’autore – è nel fatto che è una storia vera, successa realmente, anche se io non l’ho conosciuta personalmente, ma i miei fratelli più grandi hanno sentito i racconti di questa vicenda. C’è una duplice motivazione nella volontà di metterla per iscritto: da un lato il non voler disperdere una parte di memoria familiare. Dall’altro c’è una causa, per così dire accidentale: un paio d’anni fa ho fatto visita al cimitero in Valbrenta dove sono sepolti i miei genitori e altri miei parenti e ho visto che il Comune stava rimuovendo delle lapidi, perché oltre un certo periodo, se non ci sono più familiari che se ne prendono cura, i Comuni devono ottemperare a determinati obblighi. Quelle persone, il loro ricordo andava quindi disperso. Ho voluto in qualche modo dedicare a loro questo racconto, rendere alla gente della Valbrenta quasi un omaggio». Quei luoghi Caberlon li frequenta e li ha frequentati da bambino. Allora era una terra povera, la gente viveva della lavorazione del tabacco, della legna per piccole attività artigianali, invece negli ultimi vent’anni si è trasformata, ha tirato fuori anche una vocazione turistica legata al fiume Brenta, questo ha portato benessere. «Mi interessava quindi anche far rivivere quei tempi».
Nel racconto trapela il tema della migrazione: il nonno Nani Gianese, carattere insofferente, ma anche buontempone, a un certo punto decide di provare la sorte nelle miniere della Germania del Nord. La sua partenza porta la nonna, Giuseppina Zannoni, detta Pina, a diventare la vera protagonista del libro. Pina è una donna che non si perde d’animo, decisa e decisionista, donna di carattere, attenta agli aspetti economici e a far andare avanti l’attività di famiglia, l’osteria del paese, che gestisce dopo la partenza del marito. Nel testo ci sono ben quattro momenti chiave in cui Pina “prende una decisione”. Accanto a lei ci sono anche altre figure femminili: la maestra, che l’aiuta a scrivere le lettere per il marito e le dà anche preziosi consigli, la ascolta; la mamma di un soldato tedesco, il circolo delle donne in Germania, una donna che la accoglie quando è in cerca del marito. C’è anche una comunità che emerge, quella della Valbrenta, che sembra non giudicare ma piuttosto solidarizzare. «Avevo un ricordo un po’ vago di questa solidarietà fra donne – dice Caberlon – che mi si è riaffacciato alla memoria. Tra le donne c’era un forte legame perché molti mariti erano all’estero per lavoro. Erano le cosiddette vedove bianche e quindi si creava un legame, si trovavano per fare qualche lavoro insieme e intanto si raccontavano, condividevano le preoccupazioni. La comunità invece non giudicava, ma piuttosto compativa, ci si metteva nei panni dell’altro. Era una comunità coesa. Certo, in questo libro ho un po’ idealizzato la storia. Per esempio il problema endemico dell’abuso dell’alcol, tipico delle zone montane, non l’ho enfatizzato, ma l’intento non era certo quello di sottolineare questi problemi, quanto di lasciare memoria positiva di una storia i cui personaggi sono realmente esistiti».
Viene poi facile fare un parallelismo fra le migrazioni di allora e quelle di oggi. «Il romanzo nasce da un racconto breve di migranti bellunesi veneti nel mondo. Quello che posso dire è che spesso noi tendiamo a essere giudicanti verso lo straniero, abbiamo pregiudizi mediati dalla cronaca, ma anche frutto della cultura e del preconcetto che ci porta a escludere l’altro. Nella nostra storia c’è sempre stata una migrazione importante, ma non sempre è stata di “italiani buona gente”, questo potrebbe aiutarci a riflettere sul rapporto che abbiamo con l’accoglienza, capire di più le storie, la provenienza dell’altro».
Il libro viene presentato giovedì 27 novembre alle 18.30 alla libreria Italy Post di viale Codalunga 4/L a Padova. Saranno presenti l’autore e il giornalista Sergio Frigo che ne ha curato la prefazione. Durante la serata M. Grazia Mandruzzato leggerà alcuni brani scelti. Il libro ha vinto la 28a edizione del Premio nazionale di narrativa “Valerio Gentile” sezione romanzo 30+ (riservata agli scrittori over 30) Caberlon si è dedicato all’insegnamento occupandosi in particolare di formazione per adulti e di progetti di integrazione dei migranti. Da sempre attivo in ambito sociale e culturale, collabora con l’associazione “Clinica popolare Azadî con sede a Padova nel quartiere Palestro.