Fatti
Un’indagine sulla generazione Z. Essere imprenditore è ancora il sogno nel cassetto dei giovani
Pensando al lavoro del proprio futuro, è il pensiero di 500 giovani veneti
Pensando al lavoro del proprio futuro, è il pensiero di 500 giovani veneti
I giovani veneti guardano ancora con occhi sognanti il mestiere degli imprenditori e se non è abbastanza per rassicurare i più in questi tempi di incertezze e radicali sconvolgimenti, è comunque una conferma interessante. Ritengono una misura del proprio successo fare un lavoro che gli permetta di girare il mondo, essere manager o scienziati magari pure occuparsi di nuove tecnologie ma sì, i veneti vogliono ancora essere indipendenti, autonomi a cominciare dal lavoro. Paroni a casa loro, parafrasando un vecchio slogan. E vogliono esserlo nonostante il 53 per cento degli intervistati ritenga i titolari d’impresa «interessati solo al profitto e capi autoritari». Non una bella premessa, certo, ma neppure sufficiente a intaccare l’ambizione d’esser come loro per quel 95 per cento di ragazzi e ragazze che giudicano il lavoro come il terzo valore più importante su cui reggere la propria vita, subito dopo l’amicizia e il divertimento. Male per famiglia, amore e istruzione, ai margini della classifica delle priorità. A condurre la ricerca sulla cosiddetta “generazione Z” è Ipsos per Unioncamere Veneto: 500 giovani fra i 16 e i 30 anni coinvolti intorno al tema del lavoro che cambia per capire come, oltre alle professioni, cambi anche il mondo che ci gira intorno. «C’è bisogno di giocare d’anticipo sui processi di trasformazione del lavoro per orientare le scelte formative dei nostri giovani – spiega il presidente di Unioncamere del Veneto, Mario Pozza, che rivendica anche l’importanza del sostegno agli Istituti tecnici superiori – Qui entra in gioco la rilevanza dell’orientamento alle professioni, su cui il sistema camerale si sta spendendo da tempo. Lo strumento dei Ptco (percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento ndr), la cosiddetta alternanza scuola-lavoro, ora messa in discussione per i recenti drammatici accadimenti, resta importante e strategico, certo ponendo la sicurezza sui luoghi di lavoro come priorità assoluta, perché il bisogno che il mondo dell’impresa ha di professionalità e competenze è estremamente forte». L’obiettivo diventa quindi intercettare i ragazzi e le ragazze, conoscere le passioni e le propensioni e su queste investire in formazione in una formula che permetta loro di intercettare più facilmente le necessità del mercato. «Negli ultimi tre anni si sono iscritti in primaria 20 mila bambini in meno, come la cittadina di Thiene» ha messo in chiaro l’assessore regionale all’Istruzione Elena Donazzan. Di fronte alla sfida della denatalità che riduce nel numero complessivo dei giovani, il problema diventa duplice se questi non riescono poi a prendere una strada nella vita. I cosiddetti Neet, i giovani che non studiano e non lavorano, sono circa il 25 per cento del totale e aumentano, leggendo le statistiche Istat, di quasi 100 mila unità anno su anno. «Secondo gli ultimi dati Excelsior di settembre – riflette il vice segretario generale di Unioncamere Italiana Claudio Gagliardi – in 48 casi su 100 le imprese prevedono di avere difficoltà a trovare i profili desiderati, o perché mancano i candidati o perché c’è una non adeguatezza delle competenze. Secondo l’Istat, nei prossimi dieci anni avremo quasi 2 milioni di lavoratori in meno e 1 milione e 400mila studenti in meno». Non sarà facile attirarli, coinvolgerli nelle dinamiche di un mondo economico sempre più agitato: sempre secondo l’Istat la fiducia dei consumatori e delle imprese è sceso di quattro punti nel mese di settembre, un dato fortemente influenzato dai peggioramenti attesi nel clima economico generale. Un calo che dura da tre mesi e che ha raggiunto i minimi da febbraio 2021. Una mancanza di fiducia nelle potenzialità del sistema di affrontare e superare le attuali difficoltà che spaventa, annichilisce in primo luogo chi un lavoro ce l’ha. «L’Italia si colloca tra il secondo e il quarto posto al mondo per la paura di perdere il lavoro – conclude il direttore di Ipsos, Enzo Risso – A settembre siamo al secondo posto, prima di noi c’è solo il Sudafrica e abbiamo scavalcato Spagna e Indonesia. In Italia il 40 per cento dei lavoratori teme di perdere l’occupazione, in Germania è solo il 7 per cento, nel Regno Unito il 10 per cento e in Francia il 14 per cento. Questo divario è preoccupante». E se nella visione ottimale del mondo i ragazzi identificano il successo con il lavoro dell’imprenditore, il 57 per cento di loro tutto sommato ambirebbe a fare il dipendente a condizione che l’impiego gli permetta di maturare esperienze, esprimersi liberamente e in qualche modo gratifichi il lavoratore.
Dal non essere apprezzati all’essere sfruttati, la paura di diventare un numero e il non avere più tempo per sé stessi.