“La sinodalità è una mentalità e una metodologia: ora serve passare all’attuazione”. Mons. Gianmarco Busca, vescovo di Mantova e presidente della Commissione episcopale per la Liturgia, sintetizza così il cammino che attende la Chiesa italiana. Alla vigilia della terza Assemblea sinodale, il presule richiama corresponsabilità, formazione e unità di sguardo come criteri decisivi per tradurre il Documento di sintesi in scelte pastorali concrete, capaci di rinnovare la vita delle comunità ecclesiali.
Eccellenza, qual è la priorità da cui partire perché il Documento di sintesi non resti solo programmatico ma diventi realmente operativo?
Occorre distinguere tra valore e urgenza. Mi sembra importante partire da tutto ciò che amplia il soggetto attivo della Chiesa. Non solo il clero, ma tutti gli organismi di comunione, chiamati a una rinnovata responsabilità di leadership e di governance delle comunità. Penso ai consigli pastorali e presbiterali, ma anche a nuove forme di gestione condivisa.
Quale ruolo può avere la formazione in questo processo di rinnovamento?
È fondamentale ridefinire la formazione in senso unitario e integrale. Nelle diocesi esistono molte proposte formative, ma spesso non si muovono come un corpo unico: molte attività, poca visione.
E le ministerialità? Quale spazio possono trovare oggi nella vita ecclesiale?
È un ambito prioritario. Le ministerialità, anche quelle nuove istituite, sono strumenti preziosi di corresponsabilità. Solo valorizzandole il Documento potrà tradursi in un agire trasformativo. Dobbiamo far passare il messaggio che la Chiesa è tutta la comunità, non solo i ministri ordinati.
Che immagine di Chiesa emerge da questa terza Assemblea sinodale?
Il fatto stesso che si celebri una terza Assemblea, in continuità con le precedenti, è segno di unità e condivisione. Il Documento è organico, radicato nella Scrittura e nel Concilio Vaticano II, fedele al percorso compiuto. Non è stato semplice armonizzare i contributi, ma il risultato è equilibrato e restituisce una visione realistica e plurale della Chiesa italiana.
Ci sono temi che ritiene maturi per scelte più rapide?
Sì, alcuni non possono attendere. Penso all’iniziazione cristiana e, più in generale, ai percorsi di introduzione alla fede.
Dopo decenni di sperimentazioni, è tempo di delineare orientamenti comuni su padrini, sacramenti e collaborazione tra parrocchie e famiglie.
Il Cammino sinodale in Italia
Avviato nel 2021, il Cammino sinodale della Chiesa italiana si articola in quattro fasi: narrativa, sapienziale, profetica e attuativa. Dopo due Assemblee nazionali (2023 e 2024), la terza Assemblea completa la fase profetica, consegnando al Consiglio permanente della Cei le proposte per l’attuazione nelle diocesi. L’obiettivo è promuovere una Chiesa più missionaria, corresponsabile e unita nella diversità dei carismi e dei ministeri.
Un’altra urgenza riguarda la gestione dei beni e delle strutture. In che direzione muoversi?
Serve una gestione più condivisa e trasparente, con il coinvolgimento di laici competenti ai quali riconoscere corresponsabilità effettiva. Il calo dei sacerdoti impone nuove forme di collaborazione. Penso a figure di supporto economico-amministrativo accanto ai parroci e a deleghe specifiche ai laici per sostenere le comunità nel modo giusto.
Passiamo alla liturgia. È spesso percepita come questione di linguaggi: lei concorda?
No, bisogna evitare che sia ridotta a un problema comunicativo.
La liturgia è un atto di fede, non una forma estetica o emozionale.
Le richieste di maggiore accessibilità sono legittime, ma devono integrarsi con un autentico approfondimento del mistero.
La liturgia può diventare una via per rigenerare la fede?
Certamente. Papa Francesco, in Desiderio desideravi, invita a formare “alla liturgia e dalla liturgia”. Ma serve un approccio sistemico: valorizzare parola, canto, gesti, ministerialità. Occorre una formazione liturgica diffusa, cura dell’ars celebrandi, attenzione agli stili della presidenza e accompagnamento dei giovani alla preghiera comunitaria.
Come educare le nuove generazioni alla partecipazione liturgica?
È una sfida culturale e pedagogica. La messa è una soglia alta della vita ecclesiale e si raggiunge per gradi, con percorsi propedeutici.
Dobbiamo alfabetizzare alla fede i giovani immersi nella cultura digitale, accogliendo i linguaggi contemporanei senza banalizzarli, per condurli a un’autentica esperienza di preghiera.
Molti temono che il lavoro sinodale non trovi continuità nelle diocesi. Condivide questa preoccupazione?
La comprendo, ma oggi è il tempo della sussidiarietà. I livelli più ampi devono sostenere la creatività dei livelli locali. Il confronto sinodale ha mostrato una buona alleanza tra Chiesa italiana e Chiese locali.
Sarebbe utile istituire un organismo permanente che accompagni questa sinergia.
Nella mia diocesi, ad esempio, abbiamo scelto di dedicare un biennio alla ricezione coordinata dei processi sinodali, con delegati formati.
Questa Assemblea segna la conclusione del percorso di ascolto o l’inizio di una nuova fase?
Direi entrambe le cose. Dopo anni di ascolto e discernimento, si apre la fase dell’attuazione. La sinodalità è una mentalità e una metodologia: ora dobbiamo passare “dalla testa alle gambe”, dare concretezza a ciò che lo Spirito ha ispirato. La vera sfida è la ricezione, perché il Documento diventi lievito nella vita delle comunità.
Tutto questo avendo sempre Cristo al centro, come ribadisce Papa Leone XIV.
Esatto. Rimettere al centro la liturgia significa rimettere al centro Cristo, non l’esperienza rituale in sé. È nella celebrazione che la Chiesa nasce e lascia agire il suo Signore. Senza il volto di Cristo, ogni valore si riduce a ideologia. Il Documento lo ricorda chiaramente:
Porre Cristo al centro per rinnovare l’incontro personale e comunitario con Lui oggi.
Un auspicio per il futuro del Cammino sinodale?
Che si consolidi uno stile di comunione, meno particolarismi e più corresponsabilità. La sinodalità non è un progetto da archiviare, ma un modo di essere Chiesa. È un percorso che coinvolge tutti e che, se vissuto con fede, può aprire una stagione nuova per le nostre comunità.