FattiCon una successo superiore alle previsioni Viktor Orbán ha vinto per la terza volta consecutiva le elezioni ungheresi. Ha raccolto i consensi dei ceti medio- bassi e dei contadini puntando su identità e intolleranza, cristianesimo e nazionalismo. Il successo lo rilancia alla testa dei Paesi euroscettici, "portabandiera dei populisti xenofobi".
Il suo terzo mandato consecutivo il premier ungherese Viktor Orbàn l’ha stravinto con il 49,5 per cento dei consensi, un risultato che consentirà a Fidesz (Unione civica ungherese), il suo partito conservatore e populista, di contare sui due terzi dei seggi in parlamento, ovvero quella “super maggioranza” necessaria per modificare la Costituzione, lasciando solo briciole agli altri.
Un’affluenza record – 5 milioni e mezzo di ungheresi, il 70 per cento degli elettori – ha segnato la giornata elettorale e in molti seggi si è votato oltre le 19, orario di chiusura, a causa delle lunghe code. Proprio la grande partecipazione era stata letta dagli analisti come il segnale di una possibile affermazione delle opposizioni che avrebbero potuto far perdere la maggioranza assoluta al partito del premier, e invece gli avversari di Orbàn sono stati sconfitti duramente. Al secondo posto con il 20 per cento dei consensi si è piazzato Jobbik (Movimento per un’Ungheria migliore), il partito nazionalista di estrema destra che aveva promesso una lotta contro la corruzione generalizzata attribuita a Orbàn, il cui leader Gábor Vona si è dimesso dopo la schiacciante vittoria del premier. L’alleanza socialisti-verdi ha raggiunto la terza posizione con il 12 per cento dei voti e anche il leader del Partito socialista ungherese ha annunciato le proprie dimissioni.
Orbàn è al governo dal 2010 ed è considerato un filo-russo, ostile all’Unione europea e grande oppositore delle politiche di apertura delle frontiere e dell’accoglienza di immigrati musulmani. Ha raccolto i consensi dei ceti medio-bassi e dei contadini puntando su identità e intolleranza, cristianesimo e nazionalismo: «Dobbiamo decidere bene, perché sbagliando non ci sarà più modo di riparare, rischiamo di perdere il nostro Paese, che diventerà un Paese di immigrati» ha dichiarato anche il giorno delle elezioni.
Nel 2015 il governo ungherese era stato duramente criticato perché aveva deciso la costruzione di una rete lungo i confini con la Serbia e la Croazia con l’obiettivo di fermare l’arrivo dei migranti e in campagna elettorale Orbán ha affermato di voler adottare politiche ancora più severe nei confronti dei migranti, soprattutto per impedire i flussi dai paesi musulmani. Ma Orbán è anche uno dei capi di governo più euroscettici all’interno dell’Unione europea, contrario a qualsiasi processo che porti a una maggiore integrazione oltre a essersi rifiutato di collaborare con gli altri Paesi nella gestione della crisi dei migranti.
Economicamente l’Ungheria appare un paese sano: tasso di disoccupazione al 3,8 per cento, crescita economica del 3,2 per cento nel 2017 e finanze pubbliche piuttosto solide, ma in realtà negli otto anni di governo Orbán la crescita complessiva dell’Ungheria è stata la più lenta tra quella dei Paesi del gruppo di Visegrád (Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia). La strategia del premier, infatti, ha puntato su innalzamento delle pensioni, taglio dei costi per l’energia, aumento del salario minimo e agevolazioni fiscali per le coppie con figli numerosi o che abbiano appena acquistato una casa: una sorta di welfare state nazionale ben diverso dalla liberalizzazione degli anni Novanta.
«Questa è una vittoria decisiva, in futuro saremo in grado di difendere la nostra madrepatria» ha commentato Orbàn subito dopo il risultato, festeggiando un successo che lo rilancia alla testa dei Paesi euroscettici. Così l’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), analizzando il risultato del voto ungherese, sottolinea che «sul piano internazionale, mentre nel 2010 il nazional-populismo di Orbán poteva ancora essere considerato un’eccezione in Europa, oggi c’è chi lo ritiene un precursore»
E proprio sull’euroscetticismo e sul populismo di Orbàn puntano i commenti della stampa europea: «Per l’Ue, associazione di Stati democratici, rimane la domanda su come fare politica con Orbán che tiene saldamente le redini nelle sue mani (in questa) ultima tappa della desiderata democrazia illiberale» si chiede il Frakfurter Allgemeine, immaginando che sulla cancelliera Angela Merkel ci sarà «pressione per far ragionare il suo collega del partito democratico cristiano Orbán». Lo spagnolo El Pais scrive che «la terza vittoria di Orbàn consolida il populismo xenofobo in Ungheria» mentre per l’olandese Volkskrant è il populismo europeo che «mantiene il suo portabandiera non ufficiale» quando, continua, «l’unica cosa che lega gli ungheresi è la paura».
