Fatti
Prima la pioggia. Poi la rottura degli argini. Infine gli allagamenti, che solo nella Bassa Padovana hanno coinvolto un quinto del territorio. È la spaventosa alluvione di ottobre-novembre 2010 che ha riguardato tutto il Veneto: sono passati 15 anni ma la memoria di chi visse in prima persona quegli eventi non si è sbiadita nel tempo. «Era notte e si è rotto un argine del Fratta che è esondato con una portata d’acqua paurosa. Alla mattina è scattato l’allarme e non si poteva già più andare da Ospedaletto a Noventa Vicentina. Assistevamo impotenti all’inondazione che saliva sempre di più». Ricorda così l’inizio dell’alluvione don Federico Camporese, all’epoca parroco di Ospedaletto Euganeo, uno dei Comuni più colpiti della Bassa. Le immagini drammatiche ritornano in mente, indelebili, in un misto di tristezza, ma anche soddisfazione per la catena della solidarietà che si è manifestata tra cittadini. «La parte bassa della cittadina è stata completamente sommersa, ed era quella dove c’erano la maggior parte degli allevamenti, galline, conigli e tacchini – quasi tutti morti – oltre ai trattori degli agricoltori sommersi da metri di acqua. Poi sono state colpite le case e qui mi si stringe ancora il cuore a ripensarci. I ricordi più tristi sono quelli legati alle abitazioni degli anziani, dove avevano vissuto per una vita e dove conservavano le memorie, tutto spazzato via da acqua e fango. E una casa di due neo-sposi che erano appena andati ad abitare, travolta dall’esondazione. Non riuscivo a dormire alla notte» ricorda commosso don Federico.
«Il tutto si è svolto in pochi giorni. La Protezione civile ha tentato di arginare l’acqua ma non è stato possibile, abbiamo dovuto attendere che defluisse. Quando siamo tornati “all’asciutto” è partita una gara di solidarietà tra cittadini per ripulire il tutto. Eravamo autogestiti, andavamo con le idropulitrici di casa in casa, procedendo da inizio via fino alla fine, mentre le aziende con le carcasse di animali morti hanno dovuto attendere l’arrivo dell’autorità sanitaria – continua don Federico – I primi aiuti economici sono arrivati tramite la Caritas di Padova grazie alle offerte raccolte dalle altre parrocchie. Una generosità e una solidarietà che ci hanno davvero commosso e hanno dimostrato che di fronte a questi eventi siamo tutti uguali, non c’è distinzione di religione». Ricordi simili sono quelli di don Pierpaolo Peron, al tempo parroco di Ponte San Nicolò: «È stata una scena irreale, alle tre di notte siamo andati a svegliare
le famiglie per evacuarle, bussando alle porte perché non c’era corrente. Gli sfollati sono stati trasferiti nella sede degli Amici del Mondo, poi in palestre o sono stati ospitati da familiari. Sembrava di
vedere un film, qualcosa che non può mai capitare a te. Eppure era reale». Anche lui ricorda, però, la luce in mezzo a tanto buio: «Abbiamo visto fratellanza, collaborazione, a prescindere dalla religione. Ci siamo trovati in un momento di preghiera comune, la comunità si è sentita unita di fronte a questo evento».
Mentre parrocchie, Caritas, volontari, Protezione civile davano una mano agli alluvionati, sul fronte politico e amministrativo era piena emergenza e bisognava trovare soluzioni sia immediate che di lungo periodo per evitare che eventi simili si ripetessero. Lo ricorda Anna Lazzarin, sindaco di Veggiano dal 2007 al 2017: «Avevo 45 anni, ero in carica solo da tre anni. Ero piena di energia ed entusiasmo, ma non mi sarei mai immaginata di dover affrontare da sola un’emergenza simile. Il Comune ha solo quattromila anime e per le prime 24 ore siamo rimasti soli a gestire la calamità, con la Protezione civile e la Polizia locale. Poi sono arrivati gli aiuti a livello provinciale, regionale e governativo». Grazie a un appello lanciato tramite televisione, stampa e social sono arrivati in poco tempo oltre 200 volontari: «È stata coinvolta Etra che ha mandato camion per lo smaltimento dei mobili; ci sono arrivate lavatrici e asciugatrici; infine sono arrivati i ristori, sebbene sia servito un lavoro enorme da parte dei nostri dipendenti che per mesi hanno
dovuto accogliere le domande (più di 400, circa un terzo dei nuclei familiari) e in seguito verificare le autodichiarazioni – ripercorre Lazzarin – Oggi non sono più sindaco, ma da cittadina dormo tranquilla, gli argini sono stati rinforzati e i bacini di laminazione servono. Al tempo non c’era nemmeno manutenzione ordinaria, certi tratti dei fiumi erano abbandonati. Aggiungo un’ultima osservazione: anche tra amministratori c’è stata solidarietà, con alcuni siamo rimasti amici a distanza di anni. E gli organi sovra-comunali hanno fatto la loro parte, malgrado qualche inghippo. Ripensandoci, nonostante il disastro, riesco a cogliere qualche aspetto positivo dall’evento: le persone si sono sentite strette e vicine e abbiamo imparato dai nostri errori».

Gli aiuti sono stati corposi: nei 130 Comuni veneti colpiti hanno lavorato oltre seimila volontari. Oltre ai
risarcimenti governativi un grosso contributo è arrivato dalla Caritas: quella di Padova in un primo tempo
ha distribuito più di 400 mila euro mentre in seguito 176 mila euro sono stati destinati ad altri progetti per far ripartire le zone colpite. (La prima della Difesa del 7 novembre 2010)
Le 72 ore più drammatiche sono iniziate il 31 ottobre e finite il 2 novembre quando 140 chilometri quadrati di terra sono stati sommersi dall’acqua in tutto il Veneto. I Comuni più colpiti, nel Padovano, sono stati Casalserugo, Bovolenta, Maserà, Ponte San Nicolò, Veggiano, parte del capoluogo e buona
parte della Bassa. Gli allagamenti sono stati causati dalla rottura di diversi argini che hanno riversato 23 milioni di metri cubi di acqua sul territorio. Tre morti, 168 feriti, 151 mila animali morti, 426 milioni di euro di danni, mezzo milione di persone coinvolte e diverse migliaia di sfollati.