Chiesa
«I poveri non sono un diversivo per la Chiesa… Perciò la Giornata mondiale dei poveri intende ricordare alle nostre comunità che i poveri sono al centro dell’intera opera pastorale». Lo scrive papa Leone XIV nel messaggio per la 9a Giornata, che – nell’anno del Giubileo – ha per titolo “Sei tu, mio Signore, la mia speranza” (Sal 71,5).
Ma… cosa vuol dire, oggi, mettere i poveri al centro dell’opera pastorale della Chiesa? «È sempre più importante uscire dall’idea che c’è la comunità cristiana e ci sono i poveri – sottolinea don Marco Galletti, da inizio ottobre responsabile della Caritas diocesana di Padova – In realtà, dentro la comunità ci sono persone che vivono svariate povertà. Nell’immaginario è povero chi vive per strada, ma se si guarda più da vicino, ci sono persone che non riescono ad arrivare a fine mese con lo stipendio, persone a cui la vita chiede di essere prestanti… ma non ce la fanno. Nella comunità c’è chi ha un passo più lento: questo chiede di cambiare velocità e di farlo insieme».
«È difficile accorgersi di chi è più in difficoltà – evidenzia Sara Ferrari, appena nominata vice responsabile della Caritas diocesana di Padova – Sono le persone che ci siedono accanto: in chiesa, a un gruppo parrocchiale… Sono le persone con cui condividi un’esperienza, ma non sai cosa stanno vivendo: difficoltà relazionali, di salute, economiche, abitative… Tendiamo tutti a evitare un po’ di appesantirci con le fatiche degli altri, perché ne abbiamo già di nostre, quindi stiamo a distanza. Dall’altro lato, chi è in difficoltà non ne parla facilmente perché ha paura di essere giudicato, di perdere la propria dignità e il rispetto da parte degli altri».
PAPA LEONE: «I poveri non sono oggetti della nostra pastorale, ma soggetti creativi che provocano a trovare sempre nuove forme per vivere oggi il Vangelo».
«Mi rendo conto che, come Caritas, tendiamo a definire noi qual è il progetto per una persona che bussa in cerca di aiuto: quando deve iniziare, quando deve finire, che passi compiere… – evidenzia Ferrari – Ma non possiamo pensare l’altro come beneficiario del percorso, ne è il protagonista! È fondamentale che ci metta del suo, perché solo lui/lei sa ciò che sta vivendo, ciò di cui ha bisogno veramente… Noi, alla fine, non risolviamo niente. Diamo qualche strumento. Alla persona la libertà di coglierlo. Se la persona riesce a risollevarsi, il successo è tutto suo, non della Caritas».
«Nell’ultimo anno, in particolare, nei centri di ascolto vicariali abbiamo spinto ancora di più perché i volontari ragionassero per progetti nei confronti delle persone, non quindi offrendo un singolo aiuto, ma immaginando un cammino di un anno – racconta Daniela Crivellaro, operatrice Area Promozione della Caritas diocesana – La cosa interessante è stato vedere che nei casi in cui i volontari pensavano di conoscere bene la persona e scrivevano un progetto ad hoc come équipe, non funzionava. Dove invece i volontari hanno ascoltato in profondità la persona e costruito il progetto “con” lei, allora ci sono stati buoni risultati. Certo, non è stato facile: da entrambe le parti, per vari motivi, c’è stata un po’ di resistenza. C’è da aggiungere che – questo emerge dalla supervisione di Laura Ferin, assistente sociale,
nei progetti – quando i volontari hanno approfondito maggiormente la conoscenza delle persone, considerandole soggetti prima che beneficiari, si sono messi in discussione, hanno fatto un lavoro interiore e questo li ha cambiati. La relazione li ha cambiati».
«C’è una passività di fondo nel registrare alcune problematiche e la conseguenza è che, soprattutto, ci si lamenta – evidenzia don Galletti – Penso che ogni battezzato, consapevole del dono che ha ricevuto, possa essere protagonista nello sconfiggere ogni forma di povertà. E questo è possibile se ci si mette in rete in un orizzonte di bene comune. In rete tra comunità cristiana e “resto del mondo”. Solo così si potrà, come parrocchie, dare una testimonianza evangelica nel territorio».
PAPA LEONE: «Incontriamo persone povere o impoverite ogni giorno e a volte può accadere che siamo noi stessi ad avere meno, a perdere ciò che un tempo ci pareva sicuro…».
«Un tempo c’erano i ricchi e c’erano i poveri – sottolinea Sara Ferrari – Ora la povertà è trasversale. È allargata. Ci tocca tutti. Forte, oggi, è la povertà relazionale… C’è da dire che i social, e tutto il digitale, stanno allontanando le persone. Tra loro, certo, ma anche dai loro diritti, dall’accesso ad alcuni servizi… ai quali si arriva solo in modo digitale. Anche dal medico di base, ora, si prenota via WhatsApp. E chi non sa farlo? È tagliato fuori».
PAPA LEONE: «Tutti siamo chiamati a creare nuovi segni di speranza che testimoniano la carità cristiana».
Sara Ferrari: «In questo momento stiamo camminando insieme a una donna marocchina, che si è ricongiunta con le sue due figlie, una di queste con sindrome di Down. La sua ex datrice di lavoro, con cui aveva avuto un rapporto breve, se l’è presa a cuore e si sta facendo in quattro per lei, attivando una rete di persone per sostenerla. Persone come questa sono segni di speranza. Di fronte alle difficoltà di qualcuno si attivano gratuitamente nel silenzio. Nei territori sono davvero tante queste persone e operano al di là dei centri di ascolto Caritas pur presenti e attivi».
«Segni di speranza – evidenzia Crivellaro – sono i volontari dei centri di ascolto, che tengono duro nonostante le fatiche non manchino. Si mettono in gioco, curano le relazioni, accompagnano le persone… Sono un segno di speranza nei territori in cui operano. Così come lo sono i servizi di cui si occupano, in parrocchia, in vicariato, nei servizi diocesani… Che si impegnino ancora, con entusiasmo, ad accompagnare e dare risposte è una grande ricchezza. Certo, questo spendersi va continuamente rimotivato».
PAPA LEONE: «Di fronte al susseguirsi di sempre nuove ondate di impoverimento, c’è il rischio di abituarsi e rassegnarsi».
Don Marco Galletti: «Di fronte alle situazioni di povertà mi dico: sono io… Vorrei che qualcuno, anche se non riesce a rispondere ai miei bisogni, mi considerasse. Questo pensiero mi porta a dire che la prima carità è l’incontro. Incontrare è più che dare. E incontrare l’altro, in qualsiasi condizione di vita si trovi, contribuisce a costruire una società più giusta per tutti».
Nel 2024, secondo i dati dell’Osservatorio delle povertà e delle risorse, la Caritas di Padova ha incontrato 2.682 persone nei quattro servizi diocesani, nei 37 sportelli dei centri di ascolto vicariali e in 17 parrocchie. «Oltre i numeri – sottolinea la Caritas diocesana – ci sono le persone con le loro storie, pensieri, sentimenti, bisogni, percorsi, fatiche e opportunità».
Il 54 per cento delle persone che si sono rivolte agli sportelli e servizi della Caritas sono donne, anche se al centro di ascolto diocesano è più consistente il numero di uomini (348 su 430 persone totali). La nazionalità più presente, nel numero complessivo, è italiana (48 per cento).
Le persone si sono rivolte alla Caritas per problemi economici, abitativi, lavorativi, di salute e familiari. I dati completi si trovano nel sito caritas.diocesipadova.it
Sabato 15 novembre è in programma, dalle 9 alle 12.30 all’Opsa, l’assemblea diocesana delle Caritas. Sul tema “Cura e giustizia. Quali alternative alla violenza di fronte al conflitto?” interviene Simone Grigoletto (Università di Padova). «Ci interrogheremo su cosa vuol dire essere costruttori di pace – spiega don Marco Galletti – a partire dalla riscoperta di quello stile non-violento che oggi forse non è più così citato o conosciuto». Con il contributo dei volontari, la Caritas diocesana sta ri-definendo la presenza nel territorio vista la nuova “geografia pastorale”. I responsabili dei centri di ascolto vicariali, in particolare, sono invitati a partecipare a un sondaggio per capire se tenere il centro di ascolto com’era prima o se trasformarlo. Ciò che emergerà verrà “rilanciato” ai coordinatori delle collaborazioni pastorali.