Accanto alla scuola, le famiglie sono i primi soggetti colpiti dall’uso esagerato e fuori controllo dello smartphone da parte dei ragazzi.
Le discussioni sul tema tra genitori e figli sono all’ordine del giorno. La prima grande sfida è certamente quella del tempo del primo cellulare, con i ragazzi che premono per possederlo il prima possibile. Strettamente connessa è la contrattazione sul tempo per l’iscrizione ai social media. Un secondo tema riguarda le forme di doveroso controllo su ciò che possono vedere e fare i ragazzi online. Un terzo snodo riguarda invece il tempo trascorso online (ormai tra le sei e le dieci ore al giorno), con le gravi ricadute sulla socialità e sulla salute (as esempio il sonno: i ragazzi non spengono mai il cellulare e lo usano fino a tarda notte).
Davanti a questi gravi problemi le famiglie raramente riescono a resistere alla pressione dei figli, riducendo l’opposizione a una minaccia di divieti tanto duri quanto inattuabili.
Come sempre le logiche allarmistiche aiutano a riconoscere il problema ma raramente offrono soluzioni praticabili. Che fare allora?
Il panorama di sperimentazioni e buone pratiche è in realtà più ampio di quello che si possa crede. Tra le molte ne segnalo due (più una).
Lo psicologo francese Serge Tisseron ha suggerito una articolata introduzione al mondo digitale dei bambini, strutturata secondo gli anni di crescita: 3, 6, 9, 12. La proposta (facilmente reperibile online) si struttura su un’idea di fondo: c’è la giusta esperienza e autonomia per ogni età. Nessuno schermo prima dei tre anni, introduzione del mondo digitale progressiva e molto accompagnata dai genitori, responsabilizzazione crescente dei ragazzi. In sintesi: se vuoi aiutare tuo figlio dodicenne a usare meglio il suo cellulare devi iniziare a educarlo da quando ha un anno.
La seconda esperienza è quella dei Patti Digitali (anche questa online per tutti i dettagli). L’esperienza parte dal fatto che una famiglia da sola non può reggere la pressione dei ragazzi. Piuttosto, ciò è possibile se più famiglie insieme, ad esempio una classe di scuola media, condividono un percorso e, insieme ai loro figli, decidono data e regole per l’uso dello smartphone. Se nessuno degli amici ha il cellulare anche il preadolescente di casa avrà meno motivi per essere insistente.
Queste esperienze però non bastano. Qualche tempo fa ha fatto scalpore un tema scritto da un bambino in cui esprimeva il desiderio di essere un cellulare, così da ottenere un’attenzione maggiore da parte dei suoi genitori, impegnati più a guardare lo schermo dello smartphone che i loro figli.
La provocazione è potente e doverosa. Siamo così sicuri che l’ubriacatura da cellulare sia un problema di ragazzi? Possiamo chiedere loro di non usarlo a tavola o a letto se noi siamo i primi a farlo, magari in modo continuo se non compulsivo? Che cosa insegniamo ai nostri figli se siamo i primi a esprimere contenuti violenti o volgari nelle chat? Quale esempio offriamo ai nostri adolescenti se siamo i primi fruitori di materiale pornografico o giocatori online? Le statistiche sono feroci: i più grandi frequentatori di questo tipo di siti non sono i ragazzi, bensì adulti e giovani adulti.
Proclami autoritari e lamenti sguaiati come sempre non servono a nulla. È piuttosto il tempo delle scelte sagge e condivise. A partire da una particolarmente simbolica: smettere di regalare il primo cellulare in occasione della Cresima se non della Prima Comunione. Possiamo davvero trovare di meglio.