Idee
8 marzo. Dall’Afghanistan all’Iran. Ci vogliono quasi 300 anni per la parità di genere nel mondo
Instabilità, guerre e crisi globali hanno ripercussioni sul futuro delle donne
Instabilità, guerre e crisi globali hanno ripercussioni sul futuro delle donne
A livello globale, con l’attuale tasso di sviluppo nel campo della lotta alla discriminazione di genere ci vorrebbero 286 anni per raggiungere la parità tra uomo e donna. Ad affermarlo è un report di UN Women, l’ente delle Nazioni Unite dedicato all’uguaglianza di genere e all’empowerment femminile, il processo di crescita e di rafforzamento di fiducia e potere delle donne. Questa stima si basa su dati a dir poco preoccupanti, che mettono in evidenza come instabilità e violenza affliggono le donne nelle zone più turbolente del mondo. Secondo UN Women nel 2021, 44 milioni di profughe sono fuggite da disastri climatici, guerre e violazioni di diritti umani. Chi non riesce a scappare da queste regioni vede i propri diritti fondamentali calpestati, primo tra tutti il diritto all’istruzione: il 54 per cento delle donne che non hanno accesso a sistemi scolastici vive in Paesi affetti da crisi o conflitti duraturi nel tempo e caratterizzati da sforzi da parte della leadership di tenere le ragazze al di fuori dei programmi educativi. Un tragico esempio di esclusione delle ragazzedal sistema d’istruzione, che a distanza di nemmeno due anni già non attira più l’attenzione di gran parte del pubblico occidentale, è rappresentata dalla condizione delle donne in Afghanistan. «L’Afghanistan è l’unico Paese al mondo in cui le ragazze dopo i dodici anni non possono proseguire gli studi – sottolinea Barbara Schiavulli, reporter di guerra che segue il Paese asiatico dal 2001, commentando in una conferenza a Padova la condizione femminile nel Paese – Il 15 agosto la vita delle donne afghane è praticamente finita. La prima lezione dell’Afghanistan è questa: i diritti si possono perdere nel giro di ventiquattro ore, i diritti se non vengono protetti possono sciogliersi come neve al sole».Nell’Emirato governato dai taliban, infatti, gli uomini della guida spirituale Mullah Omar a marzo 2022 hanno riaperto solo le scuole superiori maschili, negando di fatto il diritto all’istruzione alle ragazze. A dicembre 2022 poi hanno annunciato il divieto per le donne di frequentare le università. Tra le principali conseguenze del divieto di studiare c’è l’abbassamento dell’età media in cui le ragazze si sposano. Bambine e ragazze, insiste Barbara Schiavulli, sono quindi costrette a una vita relegata dentro le mura di casa, in una realtà dove la percentuale di donne che subiva violenza domestica era altissima anche prima del ritorno dei talebani al potere e che ora può solo peggiorare. Oltre all’istruzione, sono state messe al bando anche le possibilità di lavorare, di frequentare parchi pubblici e di utilizzare contraccettivi femminili. Il fatto che l’istruzione sia un mezzo di emancipazione è ben chiaro agli oppressori che mirano a tenere le donne sotto il loro giogo anche oltre i confini afghani. In Iran, dopo l’omicidio di Mahsa Amini nel settembre 2022, le donne senza il velo hijab hanno riempito le piazze e scosso le fondamenta della Repubblica islamica con il grido “Donna, vita, libertà”, insieme agli uomini che solidarizzavano con loro. Alla feroce repressione governativa si è aggiunto lo sforzo degli estremisti religiosi appartenenti alla società civile iraniana. Da dicembre 2022, infatti, “soggetti non identificati” perseguono l’obiettivo di tenere le ragazze lontane dalle aule avvelenandole quando vanno a scuola. I fanatici religiosi utilizzano a questo fine dei composti chimici che provocano nausea, mal di testa, tosse, difficoltà respiratorie e sonnolenza. Dopo mesi in cui il regime ha definito “casuali” questi episodi, che da Qom fino a Teheran hanno coinvolto centinaia di ragazze, il viceministro della Salute iraniano Younes Panahi domenica 26 febbraio ha riconosciuto e denunciato l’intenzionalità di questi atti. Non solo i regimi patriarcali afghano e iraniano, ma tutti i regimi oppressivi del mondo negando i diritti delle donne si precludono qualsiasi possibilità di giustizia e benessere. A ricordarlo è stato anche papa Francesco in visita in Sud Sudan a inizio febbraio: in un Paese nato da una guerra civile che pare non essere mai finita davvero, dove il 75 per cento delle ragazze non va a scuola e lo stupro è utilizzato da tutte le milizie come arma di guerra, il pontefice ha ribadito che le donne sono la chiave per trasformare il Paese. «Mentre ci avviciniamo alla metà del 2030 – ha affermato Sima Bahous, direttrice esecutrice di UN Women – è fondamentale che ci mobilitiamo ora per investire nelle donne e per rivendicare e accelerare il progresso. I dati mostrano innegabili regressioni nelle loro vite peggiorate dalle crisi globali, nei redditi, nella sicurezza, nell’istruzione e nella salute. Più tempo impieghiamo per invertire questa tendenza, più costerà a tutti noi». La Giornata internazionale della donna, molto più che una semplice “festa della donna”, invita a ricordare anche questo: ovunque nel mondo, e soprattutto nelle zone di crisi, senza uguaglianza di genere non può esserci pace.