Chiesa | Diocesi
Ministerialità. A “fare la Chiesa” sono chiamati tutti i battezzati
Dal vivere le ministerialità “laicali” come supplenza o delega a una reale corresponsabilità tra preti e laici
Chiesa | DiocesiDal vivere le ministerialità “laicali” come supplenza o delega a una reale corresponsabilità tra preti e laici
Dal territorio possono nascere stimoli e inviti a generare nuove ministerialità e la parrocchia si trova ad affrontare anche la sfida di farle maturare o di ripensare quelle esistenti. «È un cammino da fare insieme, consapevoli che siamo chiamati a una riflessione e a un’azione comune, pur evitando fughe in avanti» afferma Andrea Pozzobon, delegato per le collaborazioni pastorali nella Diocesi di Treviso. «Un impegno in questo senso dovrebbe essere attento ad almeno tre questioni. Innanzitutto, superare un approccio che guarda alle ministerialità volte alla conservazione del “sistema” parrocchia, verso ministerialità volte alla missione. In secondo luogo, comprendere i significati relazionali e gli effetti sulla comunione che hanno le forme storiche e, talvolta, attuali, di agire le ministerialità: una cosa è vivere le ministerialità “laicali” come supplenza, delega o, al massimo, collaborazione con il ministero presbiterale, altra cosa è dare corpo un po’ alla volta, ma in maniera decisa, alla corresponsabilità. Infine, la maturazione di nuove ministerialità nella prospettiva della corresponsabilità chiede che si passi dal semplice coinvolgimento dei laici per supportare il ministero del presbitero a una partecipazione reale di tutti i battezzati al discernimento comunitario e alla vita ecclesiale (e sociale)».
Nel triennio di lavoro del “Progetto parrocchia” che ha coinvolto le Diocesi del Triveneto, quali esperienze sono emerse? «Le esperienze ascoltate non sono da considerare esperienze “modello”, ma pratiche che stanno tentando di vivere le ministerialità battesimali nella corresponsabilità e in prospettiva missionaria. Ne abbiamo ascoltate due: quella della parrocchia di San Cesario (Diocesi di Modena-Nonantola) e quella dei Gruppi ministeriali per l’animazione comunitaria della Diocesi di Vicenza. Nella prima, in particolare, è emersa la questione del potere nella comunità, una dimensione alla quale diamo generalmente un’accezione immediatamente negativa; in realtà in ogni processo sociale (e dunque anche ecclesiale) il potere viene agito; e il potere è da ricondurre prima di tutto alla “possibilità” di diventare la comunità che desideriamo (accogliente, fraterna, missionaria..), di dare senso al nostro agire, di “poter” mettere al centro del nostro vivere insieme l’ascolto della Parola e l’ascolto dell’altro».
Poiché ogni ministerialità va collocata nella missione della Chiesa, quali ministeri e forme di Chiesa si intravvedono – da quanto avete potuto cogliere – per rendere accessibile e vivibile il Vangelo in questo nostro tempo? «Ci siamo soffermati sul senso e sui processi volti a promuovere ministerialità non tanto centrate sulla funzionalità, ma sull’edificazione della comunità. I ministeri battesimali dovrebbero sempre più stimolare l’intera comunità a recuperare reti di relazioni attorno alla Parola di Dio (lettori, catechisti), alla celebrazione eucaristica (accoliti), alle tante povertà ed emarginazioni materiali, affettive, sociali, spirituali (diaconi, servizi di accoglienza e di prossimità, animatori di comunità). Tutto questo in un cammino delle comunità permeato da uno stile sinodale».
Quali rischi si corrono in questo processo? «Un rischio emerso è quello di considerare le ministerialità di tutti esclusivamente per mimesi o, al contrario, per contrapposizione con il ministero del presbitero. Questo non aiuta nessuno: né i laici, che rischiano di permanere in una condizione di minorità di fatto; né i presbiteri che rischiano di oscillare tra logiche di concessione, timore, dipendenza che non permettono loro di vivere pienamente il loro ministero. Laiche/i, religiose/i e presbiteri sono chiamati, insieme, a dare forma a ciò che è chiesto loro nella missione della Chiesa in questo luogo e in questo tempo. In conclusione, ci sembra sia emerso in modo significativo l’invito a un approccio relazionale al pensiero e all’esercizio delle ministerialità, chiamate a muoversi più sul piano del riconoscimento delle identità/doni diversi che non su quello della costruzione/programmazione organizzativa. Precisare troppo in fretta il profilo delle figure ministeriali potrebbe rivelarsi rischioso. Siamo chiamati a reali processi di discernimento ecclesiale che, con “pazienza impaziente” – come direbbe papa Francesco, ci aiutino a immaginare e a realizzare nuove forme di Chiesa». (P. Z)