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Rubriche | Lettera 35 - Cronache da un'economia umana

venerdì 6 Luglio 2018

La calda estate del commercio internazionale

La ghigliottina dei dazi si è abbattuta sul commercio mondiale, gli Stati Uniti alla guerra commerciale con la Cina e anche noi europei non ci facciamo mancare niente.

Gianluca Salmaso

Il 4 luglio, la festa dell’indipendenza americana, è ancora dietro l’angolo quando Donald Trump passa dalla teoria alla pratica, imponendo la prima rata di dazi alle importazioni di prodotti cinesi.

«Bullismo commerciale» è la risposta del governo cinese, oltre alla non troppo velata minaccia di ritorsioni verso gli Stati Uniti, anche se le armi del governo cinese non risultano ancora così affilate.

Trump, bisogna dirlo, ha di che preoccuparsi: negli anni la bilancia commerciale si è progressivamente deteriorata e c’è il rischio che la supremazia americana sulle più moderne tecnologie e con essa l’ultima polizza sulla vita del paese venga insidiata dai colossi cinesi.

Qualcomm, la multinazionale dei processori e delle telecomunicazioni, ha fatto scuola e la posizione risoluta dell’amministrazione americana nel difenderla dall’assedio dei concorrenti cinesi è desinata a diventare lo standard in questo genere di vertenze.

L’America di Trump ha puntato tutto sul patriottismo economico — Make America great again, facciamo di nuovo grande l’America è stato lo slogan del Presidente durante la campagna elettorale — non può retrocedere, non può farlo in campo tecnologico dove si gioca la sfida per il futuro del paese, e non può farlo neppure sulle produzioni più tradizionali, come acciaio e carbone, dove sono impiegati il maggior numero di quegli elettori che hanno premiato Trump alle elezioni.

La domanda che tutti si pongono, però, è quanto questa strategia possa premiare nel lungo periodo.

Un caso per tutti riguarda il colosso dell’auto FCA, erede di Fiat e Chrysler, che ha saputo risollevarsi da una crisi profonda sfruttando il meglio dei due continenti, Europa e America. Senza un marchio forte nel settore dei suv come Jeep, ereditato da Chrysler, per Fiat sarebbe stato impossibile fare breccia nei mercati europei e mondiali ma senza pianali e tecnologie adeguate di derivazione italiana uno dei modelli di maggior successo della casa — la piccola Renegade prodotta a Melfi assieme alla cugina Fiat 500X — non avrebbe mai visto la luce.

Oggi tutta la strategia competitiva del gruppo si focalizza sui marchi a più alto valore aggiunto, Alfa Romeo e Maserati, il cui rilancio dipende in larga misura dal mercato nord americano e cinese. Cosa succederà se i dazi di Trump colpiranno le importazioni automobilistiche dall’Europa? 

Sergio Marchionne si è detto fiducioso di poter mantenere la situazione sotto controllo, ma il suo mandato è ormai prossimo alla scadenza e nulla lascia presagire che la stagione dei dazi incrociati possa migliorare proprio nel momento in cui gli Stati Uniti si approssimano a diventare il primo mercato per Alfa Romeo.

Nel suo piccolo, anche l’Europa sta combattendo la sua guerra fredda dei commerci con il Regno Unito. Sono passati due anni dal fatidico referendum sulla Brexit e nulla di concreto è ancora avvenuto ma, con l’approssimarsi della conclusione dei negoziati per l’uscita del Regno dall’Unione, qualcosa inizia a muoversi.

La prima azienda a chiedere chiarimenti al governo inglese è stata Airbus, seguita a stretto giro da Bmw che, con i suoi marchi Rolls Royce e Mini, dà lavoro a circa 8000 sudditi di sua maestà.

Ai tedeschi son seguiti gli indiani di Tata che, negli anni, hanno rimesso in carreggiata Jaguar e Land Rover. Sono le rupie indiane, convertite in miliardi di sterline, che hanno permesso a Coventry di rimanere la Detroit britannica e ora, con il rischio che la Brexit erga un muro sulla Manica, sono pronti alla fuga.

Il pericolo è che vengano recisi quei legami profondi che legano le produzioni europee, con una filiera sterminata e internazionale difficilmente sostituibile soprattutto in un’era di gestione delle scorte esasperata.

L’automobile è il simbolo per eccellenza di questo mercato integrato, con la componentistica che viaggia da un’industria all’altra, da una nazione all’altra, per approdare magari nel Regno Unito e poi tornare in Europa come automobili assemblate a marchio Opel, Ford o Toyota che hanno di qua della Manica il loro principale mercato di destinazione.

Non è che l’inizio della tempesta, sull’Europa si stanno addensando grandi nuvole nere cariche di pioggia. L’ombrello è piccolo e fuori è rimasta in partenza la Nato, che Trump ha promesso di rivoluzionare.

Al coperto c’è, per il momento, l’Italia ma il peso delle incertezze nello scacchiere internazionale e qualche colpo di calore sul piano interno stanno facendo rallentare la ripresa faticosamente avviata. Se comincia a piovere, speriamo di non bagnarci troppo.

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