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Sul “fine-vita”. Decidere di morire non è per nulla facile…
Gentile direttore, le scrivo oggi che ci ha lasciato papa Francesco, prendendo spunto dalla lettera che le ha scritto Ernesto Milanesi (Difesa del 20 aprile, ndr).
IdeeGentile direttore, le scrivo oggi che ci ha lasciato papa Francesco, prendendo spunto dalla lettera che le ha scritto Ernesto Milanesi (Difesa del 20 aprile, ndr).
Non sono religiosa e non frequento la Chiesa, ma mi ha sempre colpito quest’uomo, il papa, che aveva grande disponibilità nell’accogliere e dedicare il suo tempo ad ascoltare le persone disperate, umili e indifese. Chissà, se avesse avuto l’opportunità di vivere un po’ più a lungo, se si sarebbe preso il tempo di ascoltare chi, per esperienze personali o come parenti, si trova ad affrontare il tema sul “fine-vita”. Io sono una paziente che per ora è riuscita a cronicizzare la sua malattia. Da anni sono seguita in un centro, l’ospedale Don Calabria di Negrar, che mi ha preso in carico e mi cura, pur sapendo che circa nove anni fa avevo preso la difficile decisione di andare a morire in Svizzera. Tra il 2015 e il 2016 ho peregrinato tra gli ospedali del Veneto: nessuno riusciva a capire quale fosse la patologia che mi aveva colpito. Quando venivo ricoverata o andavo dai vari specialisti, mi dicevano, in maniera non sempre gentile, che era meglio se stavo a casa in attesa che la ricerca facesse passi avanti. Così ho iniziato a informarmi su come avrei potuto morire senza creare disagi o altri problemi ai miei cari e alle persone che mi seguivano. Per quasi due anni ho passato dei mesi tra la vita e la morte, tra ricoveri e dimissioni che non lasciavano un minimo di speranza. La paura, la solitudine, la disperazione, il dolore atroce della malattia e il disagio che mi procurava la patologia che mi aveva colpito, riempivano le mie giornate. Non aveva senso continuare a vivere in quel modo, perché ero già morta dentro. Quando sei consapevole che nessuno ti potrà prendere per mano e dirti “aspetta vediamo se riusciamo a capire perché te ne stai andando”, capisci che devi decidere tu da sola che è meglio andarsene. Ma la sensazione di disperazione e il disagio che sentivo dentro, non erano nulla rispetto alla rabbia che provavo nei confronti di chi si permetteva di giudicare le mie scelte. Ma perché, se io sono una persona seria e consapevole delle mie capacità mentali, non posso decidere in piena libertà di coscienza e autonomia cosa fare di me stessa e della mia vita? Che senso ha aspettare che la morte arrivi non si sa quando, soffrendo le pene indicibili del dolore fisico e del disagio che crea la malattia? Le cure palliative non sempre funzionano come dovrebbero. Poi se ti mandano a casa dal luogo di cura senza speranza, risulta ancora più difficile gestire il proprio dolore e la disperazione dei familiari che si sentono impotenti e lasciati soli. Le posso assicurare che decidere di morire non è per nulla facile. E le posso assicurare che le persone che scelgono in piena libertà e autonomia di morire, sono immensamente innamorate della vita. Il centro che mi ha preso in carico mi ha convinto con pazienza che potevo aspettare di andare in Svizzera. Mi ha aiutato e psicologicamente preparato a provare a combattere il mio tumore raro. Mi sono sentita dopo tanta disperazione ben accolta; mi hanno convinto a fare un intervento. Se sono qui che le scrivo è solo grazie a loro e le assicuro che sono felice di poterlo fare. Le ho scritto la mia esperienza perché volevo far capire che un dibattito franco sul “fine-vita” non andrebbe affrontato tra i politici, ma dovrebbe essere prima affrontato e approfondito tra i medici e il personale che lavora nel luoghi di cura. Le proposte ci sono e i cittadini hanno espresso la volontà che il tema venga affrontato e poi normato. Giusto parlarne, ma poi serve anche agire. Perché nessuno può capire, se non l’ha provato sulla sua pelle, quanto è bello vivere, ma solo fino a quando la vita è ancora vita.
Ornella Vezzaro – Montecchio Maggiore