Mosaico
Negli alberi genealogici conservati nella casa di Canova a Possagno, oltre allo scultore e al suo fidato fratellastro Giovanni Battista Sartori, compaiono alti tre nomi: Giuseppe, Elisabetta e Maria. Fatta eccezione per Marietta, spesso ricordata nell’epistolario canoviano per il suo infelice secondo matrimonio con lo scialacquatore Giacomo Bianchi, degli altri due fratellastri le biografie di Canova non ne parlano. La famiglia che Anzoletta Zardo, vedova dello scalpellino Pietro Canova, si era formata a Crespano con le seconde nozze, in origine era molto più numerosa. Dal suo secondo matrimonio con Francesco Sartori erano nati ben sette figli, quattro dei quali morti poco dopo la nascita; sopravvissero all’infanzia solamente Giuseppe, detto Iseppo (1763), Elisabetta (1768), Maria (1771) e Giovanni Battista (1775). Di Giuseppe, nato a Crespano il 2 settembre e battezzato nella nuova chiesa parrocchiale ricevendo il nome del nonno paterno, se ne erano perse le tracce: si è sempre ritenuto che fosse morto poco dopo la nascita o a pochi anni, ma così non fu. Getta luce su questo personaggio dimenticato un recente studio di Federico Piscopo, che si inserisce nelle celebrazioni per i 250 anni dalla nascita dell’abate Sartori Canova del Comune di Pieve del Grappa.
«Un primo indizio indiretto della sua esistenza – racconta lo storico Piscopo – ci è fornito dalla documentazione del Seminario di Padova: quando nel novembre 1790 il fratello Giovanni Battista entra quindicenne in seminario, nelle informazioni fornite troviamo indicato “parentes habet superstites, frater unus”, all’interno del nucleo famigliare di origine. Non sappiamo nulla della giovinezza di Iseppo, ma è molto probabile che come figlio più anziano abbia seguito le orme del padre, intraprendendo la professione di sarto. Almeno fino a quando non decise di cambiare vita e diventare frate, decisione che prese da adulto e con grande fermezza». A dare notizie a Canova di entrambi i fratelli Sartori stabilitisi ormai a Padova è il cavalier Girolamo Zulian, in una lettera del luglio 1794: «Il più giovine dei suoi fratelli sodisfa col suo studio, e presagisce di ben riuscir per li suoi talenti. L’altro, che è un buon Religioso è lieto dell’aver a portar il capuccio. Io ne sarei dolentissimo, mà questo capuccio a lui sembra essere la sovrana felicità». Un altro punto di rifermento a Padova per i due fratelli e loro sicuro appoggio fu un giovane nobile, Daniele Ippolito degli Oddi (1771-1854), che aveva conosciuto Canova nel 1792 quando si era recato a Roma per il soggiorno d’istruzione del Grand tour, interessato ad approfondire le arti del disegno e l’architettura.
Ed è proprio al giovane conte Degli Oddi che scrive a Canova nel novembre 1794, esprimendosi così sulla recente vocazione di Iseppo: «Egli arde di voglia di poter portare il capuccio più che divenire sovrano». «Grazie alla documentazione conservata presso l’Archivio di Stato di Padova sul convento di San Francesco Grande – continua lo studioso – possiamo seguire con precisione gli ultimi anni di vita di frate Giuseppe. Il 5 febbraio 1795 vi fu la vestizione dell’abito serafico di “Giuseppe Sartori Terziario da Crespano”, dopo la quale seguirono mesi di perfezionamento fino alla professione solenne il 7 febbraio 1796. La felicità per tale percorso spirituale durò poco: pare che il frate si fosse ammalato gravemente e quindi fosse improvvisamente morto “da febbre maligna” il 10 febbraio 1797». Canova venne informato gradualmente della situazione del fratellastro da lettere spedite da Padova all’amico Antonio D’Este.
Quest’ultimo, angosciato dalla situazione, aveva chiesto a più riprese al conte Degli Oddi aggiornamenti sulle condizioni del frate: «Già con la penultima sua mi ero preparato a credere che il povero Fra Giuseppe fosse sin d’allora passato nel seno della pace; in forza dunque di ciò cominciai a dispor l’amico, e a far questo fui assistito dalla buona amica Luigia, e dal nostro Martino de Bonis». Canova apprese la triste notizia «con quella assegnazione filosofica, che è propria delle grandi anime […] riflettendo che l’infelice ha smesso di penare si tranquillizzò». Da Roma lo scultore scrisse al conte Degli Oddi, proprio per ringraziarlo del suo supporto: «Veramente si conosce che sempre più avete una bontà grande per me. Le premure che vi siete dato per il povero mio Fratellastro fanno vedere quanto mi volete bene, cosa che m’intenerisce, conoscendo che tutto lo fate per mera bontà di cuore. Io non so come rigraziarvi perché saria poco a quello che dovrei fare. Credo che dal foglio che scriveste all’amico D’Este si possa congetturare che il povero Frate sia di già andato in Paradiso. So che conviene rassegnarsi, tanto più ch’Esso non era persona, all’esistenza della quale ve ne fosse attaccata un’altra».
«La storia di Iseppo – commenta il sindaco di Pieve del Grappa, Annalisa Rampin – è un tassello prezioso che arricchisce la narrazione storica della nostra comunità e restituisce dignità e memoria a una figura rimasta troppo a lungo nell’ombra. Il lavoro di ricerca svolto da Federico Piscopo non solo rappresenta un contributo scientifico di altissimo livello, ma ha anche un valore identitario dato che ci permette di riconoscere nella nostra storia locale i semi di una vicenda umana e spirituale che merita di essere conosciuta». Questa scoperta impreziosisce il programma delle prossime celebrazioni comunali canoviane e offre nuovi spunti di approfondimento non solo per gli studiosi, ma per tutti gli appassionati della storia e dell’arte legata a Canova. Il Comune di Pieve del Grappa, in collaborazione con alcune realtà culturali del territorio, sta già organizzando future iniziative per valorizzare questa figura. Fra queste una mostra a Palazzo Reale che verrà inaugurata a metà ottobre.

Lo studio di Federico Piscopo nasce dall’esigenza di restituire completezza alla storia della famiglia Canova, partendo dai documenti e dalle testimonianze dirette spesso rimaste trascurate. «Scoprire Iseppo è stato come incontrare un uomo vero in mezzo ai ritratti sbiaditi della memoria e ci ricorda che anche le storie piccole e silenziose possono avere una grande forza evocativa».