Gruppi terroristici si impossessavano di miniere per sostenere i loro fini bellici. Oggigiorno, sostanze come il coltan (contrazione di columbite-tantalite, un minerale formato da tantalio e niobio) vengono scavate per lo più da bambini nel sottosuolo congolese. Le miniere fai da te non hanno una pianificazione strutturale, e spesso il terreno cede, provocando la morte dei piccoli minatori. Ma il commercio di coltan – necessario all’industria elettronica – continua senza scossoni etici. Di questo commercio iniquo siamo tutti complici: tutto ciò che funziona grazie a schede elettroniche contiene coltan, e contribuisce a sostenere un commercio che di etico ha ben poco. La questione etica non si ferma ai minerali. Potrà sembrare strano, ma ci sono una miriade di prodotti provenienti dal Sud del mondo che dovrebbero essere messi al bando proprio perché contribuiscono a finanziare guerre o situazioni di oppressione delle popolazioni. Un esempio sconosciuto ai più viene dalla gomma arabica. Questa deriva dalla linfa di alcuni tipi di acacia, e viene largamente usata dall’industria alimentare come emulsionante. Ne beneficiano le bevande analcoliche, le gomme da masticare e la birra. La gomma arabica ha impieghi anche in altri settori: quello tessile, edile, della stampa, della pittura e della cosmesi.
È fondamentale per addensare i rossetti! Il Sudan è il maggior produttore mondiale di gomma arabica, con l’80 per cento del totale. È ormai risaputo che i signori della guerra dei due schieramenti – le forze governative e l’opposizione – stanno usando i proventi della vendita di gomma arabica per finanziare l’acquisto di armi. Il conflitto in Sudan ha causato 12 milioni di sfollati e ucciso almeno 150 mila persone. Questo crea sfide etiche per i principali commercianti e clienti del prodotto. Sempre che siano interessati a non voler finanziare indirettamente i signori della guerra sudanesi. Il mercato di questo prodotto è nelle mani di pochi gruppi internazionali: le società francesi Nexira e Alland&Robert da sole acquistano il 50 per cento della produzione mondiale; il gruppo irlandese Kerry, la società olandese Foga Gum, il gruppo indiano Savaji, Nestlé, Coca-Cola e Pepsi-Cola coprono quasi interamente il resto.
Queste aziende si difendono dicendo che è difficile controllare la provenienza del prodotto. La gomma sudanese viene contrabbandata nei Paesi limitrofi, anch’essi produttori, rendendo difficile la tracciabilità. Di fatto, il mercato della gomma arabica è così importante per tante industrie internazionali, che si chiude un occhio sulla sua provenienza. Non ci sono alternative alla produzione sudanese, almeno non nel medio termine. Vari Paesi stanno aumentando la produzione, ma ci vorranno anni per sostituire il Sudan. Non esistono veloci soluzioni con emulsionatori chimici. Se poi l’industria occidentale dovesse optare per sostanze sintetiche, questo sarebbe disastroso per i produttori africani, annientando milioni di piccoli agricoltori che dipendono dalla gomma arabica. Siamo tutti connessi, e questo non sempre porta alla comunione. Le conseguenze sono spesso negative. Da una parte diventiamo complici di meccanismi perversi e violenti, dall’altra non troviamo facili soluzioni che rispettino l’eticità del commercio e il diritto dei più poveri. E tutto per poter bere una bevanda fresca d’estate!