Agricoltura nuovo business delle mafie? Sembrerebbe di sì, se è vero che si stima che il valore d’affari delle agromafie abbia raggiunto lo scorso anno i 25,2 miliardi di euro, e che negli ultimi dieci anni sia di fatto raddoppiato. Non solo, l’azione della malavita organizzata si è estesa a nuovi ambiti: caporalato, falsificazione e sofisticazione di prodotti alimentari, controllo della logistica, appropriazione di terreni agricoli e fondi pubblici, fino all’usura, al furto e al cybercrime. È questo l’infausto quadro delineato dal Rapporto sui crimini agroalimentari in Italia elaborato quest’anno da Coldiretti, Eurispes e Fondazione Osservatorio agromafie, che certifica come il settore agroalimentare sia diventato sempre più attrattivo per le organizzazioni criminali, che allargano i tentativi di estendere i propri tentacoli su molteplici asset legati al cibo. Particolarmente preoccupante è il fatto che le agromafie siano in grado di utilizzare le pieghe della burocrazia per promuovere il credito illegale, acquisire aziende agricole e riciclare denaro: imprenditori onesti subiscono minacce e danni per costringerli a cedere terre e attività, approfittando anche delle crisi del contesto internazionale e dell’aumento dei costi di produzione. Obiettivo principale delle agromafie sono in molti casi i fondi pubblici per il settore, ma anche il controllo di mercati e appalti, raggiunto grazie all’aiuto di professionisti compiacenti. Le infiltrazioni si estendono alla ristorazione, ai mercati ortofrutticoli fino alla grande distribuzione; non si risparmiano le frodi alimentari, ovvero prodotti venduti adulterati o senza etichetta, l’utilizzo di agrofarmaci vietati e false certificazioni bio da importazioni, soprattutto dall’Est Europa. I settori più colpiti sembrano essere vino, olio, mangimi e riso. Un capitolo a parte è rappresentato dal cosiddetto italian sounding e dalle frodi sul packaging. «La crisi internazionale e i cambiamenti climatici stanno mettendo in crisi la filiera agroalimentare, che appare sbilanciata a favore della distribuzione e penalizza i produttori – ha sottolineato Gian Maria Fara, presidente di Eurispes – e molte aziende agricole faticano a sostenere l’aumento dei costi, la riduzione delle rese, i prezzi imposti dalla grande distribuzione e la difficoltà di accesso al credito. Le mafie, grazie alla loro liquidità, offrono prestiti usurari o acquistano aziende agricole in difficoltà, seguendo un modello simile al land grabbing (accaparramento di terre, ndr). Questa strategia punta direttamente alla terra e alla produzione primaria, ampliando il controllo lungo tutta la filiera». Particolarmente odioso è il ritorno del fenomeno del caporalato, cui il rapporto dedica ampio spazio, con la nascita di organizzazioni transnazionali tra Italia e Paesi extraeuropei che agiscono come agenzie informali di intermediazione illecita della manodopera agricola. Riguarda molti lavoratori asiatici, da India e Bangladesh, e coinvolge anche le mafie cinesi. «Difendere la filiera agroalimentare dalle mafie – sottolinea il segretario generale di Coldiretti, Vincenzo Gesmundo – significa anche garantire il giusto prezzo lungo tutto il percorso. Se i consumatori comprano prodotti a prezzi stracciati, o settori deviati della Gdo o dell’industria acquistano e vendono sottocosto, quel sottocosto qualcuno lo paga: e sono quasi sempre gli agricoltori e i lavoratori agricoli».
Si chiama così il commercio di prodotti che di italiano hanno il nome o segni distintivi sulla confezione, ma che in realtà non hanno alcun legame produttivo con il nostro Paese. Particolarmente danneggiati
il Parmigiano Reggiano e il Prosecco. Si calcolano danni per 120 miliardi di euro.