Nel Catechismo della Chiesa cattolica alla voce “messa” si trovano otto definizioni. Sono: Eucaristia, cena del Signore, frazione del pane, assemblea eucaristica, sacrificio, divina liturgia, comunione, santa messa. Prendiamo solo la quinta definizione: “sacrificio”, e vediamo che dice in proposito il Catechismo: «La messa è un sacrificio perché ripresenta (rende presente) il sacrificio della croce, perché ne è il memoriale e perché ne applica il frutto» (n. 1366). Veniamo a sapere dunque che il sacrificio di Cristo sulla croce compiuto duemila anni fa e il sacrificio della messa compiuto oggi sono la stessa cosa. L’essenza è la stessa, l’atto è lo stesso. Proseguendo, infatti, l’articolo afferma, usando il linguaggio del Concilio di Trento: «Il sacrificio di Cristo e il sacrificio dell’Eucaristia sono un unico sacrificio». Si tratta infatti di una sola e identica vittima. Ma, ci domandiamo: quando io ho una vittima e la sacrifico, dopo è già morta, non posso ri-ucciderla; come posso affermare che a distanza di tanti anni io compio lo stesso sacrificio? Quando Gesù muore sulla croce, Egli esce dal tempo (come tutti coloro che muoiono) e viene investito dalla Gloria del Padre. Morte e resurrezione avvengono a distanza di tre giorni una dall’altra, perché fosse chiaro ed evidente che Gesù era veramente morto, ma di per sé costituiscono un atto solo: il Signore muore ed è investito dalla gloria del Padre. Egli vive nel Padre ora con un corpo umano glorioso (che non aveva prima dell’incarnazione), un corpo piagato sul quale si è riversato il peso del peccato di tutti gli uomini. Questo atto rimane. E nella messa esso viene ripresentato, affermato, presentato affinché, con la santa comunione, noi possiamo ora “godere i frutti” di quell’atto, ossia ricevere il perdono dei peccati e la vita nuova dello Spirito Santo. Quindi si tratta di un atto solo, vissuto materialmente duemila anni fa e concretamente ogni volta che si celebra una santa messa nel mondo. Facciamo l’esempio di una moneta. Essa ha due facce. Fate conto che il sacrificio di Cristo sia una moneta, una sola con le due facce. Quella davanti è il sacrificio cruento sulla croce nel Golgota, quella di dietro è quello incruento dell’altare: la moneta è una, le facce sono due. Non si tratta, infatti, a messa di “immaginare” il sacrificio della croce e cercare di immedesimarsi in quell’atto passato. Non devo immedesimarmi, quanto piuttosto entrare nel mistero presente che si compie davanti a me, e per farlo occorre solo la mia fede. «Prendete e mangiate questo è il mio corpo» (Mc 14,22) non sono parole devozionali: sono la realtà. Nella messa e nella comunione io mi approprio realmente del sacrificio di Cristo mentre si sacrifica sul Golgota, dal momento che per Dio non c’è ieri o domani. Dio non “è presente” (se lo fosse, potrebbe essere anche assente): Egli è la presenza; sono io che entro in quell’atto eterno, per la fede. Non si vede nulla e succede tutto. Il sacrificio del Golgota diventa il sacrificio di oggi, perché per Dio non c’è il tempo. Ecco perché l’altare della chiesa nel quale si celebra la messa è uguale al Golgota, anzi si può dire che è “meglio”: sotto la croce non era possibile mangiare il Corpo di Cristo e bere il suo Sangue; il sacrificio lo compiva Egli solo, mentre oggi io mi unisco in maniera intima e personale al suo sacrificio perché faccio la comunione, e in virtù di questa io divento “uno” con Lui, un solo mistico Corpo, ed Egli mi presenta al Padre purificato dai miei peccati e giustificato in virtù della resurrezione. Durante la messa abbiamo quindi bisogno di compiere continui atti di fede: noi siamo nel Corpo di Cristo, entriamo nella sua dimensione, e la liturgia ci deve aiutare. Di qui ne viene il raccoglimento, il canto, i gesti, il silenzio, l’adorazione, le candele, gli incensi… La liturgia non serve a Dio, ma a noi, per uscire dalle distrazioni del mondo ed entrare per fede nell’atto di morte e resurrezione del Cristo. Se fossimo stati presenti sotto la croce di Cristo, certamente avremmo vissuto con grande sofferenza, pietà, la partecipazione a quel sacrificio. Allo stesso modo il linguaggio liturgico ci introduce nel mistero per portarci alle stesse condizioni spirituali di compunzione, di adorazione, di lode, di silenzio. La messa non può essere quindi una chiassosa esibizione di canti e balli, perché sul Golgota nessuno ballava. La santa messa mi eleva perché nell’amore del Cristo la mia anima viene totalmente purificata dalla sua azione di amore sacrificale. Poi l’azione terapeutica della grazia divina continua nel tempo, e il “frutto” che viene applicato dal sacrificio di Cristo si riverbera nella mia anima, attenua le passioni, mi fortifica nella lotta contro il demonio, rende più facile il vivere, accettare e accogliere la volontà di Dio e, infine, dona pace vera e gioia spirituale.
Intenzione di preghiera del papa
Preghiamo perché impariamo sempre di più a discernere, a saper scegliere i percorsi di vita e a rifiutare tutto ciò che ci allontana da Cristo e dal Vangelo.
Intenzione dei vescovi
Ti preghiamo, Signore, affinché le nuove tecnologie digitali siano usate con saggezza e prudenza per il progresso della società civile, lo sviluppo integrale di tutte le persone e la realizzazione del bene comune.
Intenzione per il clero
Cuore di Gesù, arricchisci la vita dei presbiteri di autentiche amicizie fraterne per condividere le gioie e le difficoltà del loro ministero e rendere visibile la forza della tua carità.
«Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con Lui?» (Rm 8,32).
La sofferenza, nella nostra natura passibile, è la nostra partecipazione reale a questo mistero della messa. Noi non possiamo parteciparvi già in un corpo glorioso come lo ha Lui, vi partecipiamo invece attraverso il corpo passibile. È per questo che noi, nel vivere questo sacrificio che è sacrificio di redenzione, siamo sottoposti a rivivere in noi la Passione di Cristo.