Fuori dal tribunale, ad attendere la sentenza, c’erano associazioni, cittadini, e, come sempre, il grande striscione giallo con scritto “Bonifica subito”. È questa la richiesta che, dopo le condanne, torna con forza insieme all’avvio di indagini epidemiologiche e alla giustizia per i lavoratori esposti. «I risarcimenti che hanno preso gli enti ora devono servire per la bonifica celere dell’area e per le indagini epidemiologiche su tutta la popolazione. Non ci sono più scuse – spiegano le Mamme No Pfas – Non avevano bisogno di questi soldi, perché se avessero fatto prima i controlli che dovevano fare non saremmo mai arrivati a questo punto. Ora devono essere investiti per la nostra salute e per la ricerca». Da sempre il movimento chiede uno studio epidemiologico su larga scala. Se oggi la Regione Veneto si dice soddisfatta della sentenza, va ricordato che fu proprio l’amministrazione regionale a bloccare un’indagine epidemiologica già programmata, come emerso durante il processo. Lo studio, in collaborazione con l’Istituto superiore di sanità, era pronto a partire tra il 2017 e il 2018, ma venne sospeso per «ragioni di approfondimento di natura economica-finanziaria». Così, per sette anni, l’analisi degli effetti della contaminazione da Pfas sulla salute dei cittadini delle province di Vicenza, Verona e Padova è rimasta ferma. Se per l’indagine epidemiologica non ci sono ancora sviluppi certi, per quanto riguarda la bonifica del sito, la Provincia di Vicenza ha già firmato a inizio giugno un protocollo di intesa con le società che dovranno provvedere tra circa sei mesi a “ripulire” l’area di 80 mila metri quadrati a Trissino dove il terreno è saturo di sostanze tossiche. La stessa Provincia ha fatto sapere di avere appena concluso la realizzazione del palancolato previsto, una barriera lunga 600 metri, fatta di 540 lastre metalliche che separano l’ex Miteni dal torrente Poscola che si aggiunge così alla barriera di pozzi a sud dello stabilimento. Un’altra questione lasciata in sospeso dal tribunale è quella legata ai lavoratori della Miteni. I sindacati ricordano che sono state le lavoratrici e i lavoratori della Miteni, quelli che hanno accumulato nel sangue valori di Pfas senza uguali al mondo: «Per questo vogliamo che si accertino le responsabilità penali degli ex dirigenti che non hanno previsto adeguate misure di protezione dei dipendenti Miteni, per evitare loro l’esposizione alle sostanze Pfas – aggiunge Giampaolo Zanni, del Dipartimento salute e sicurezza della Cgil Veneto – Lo affermiamo con ancora più forza dopo la recente sentenza del giudice del lavoro del tribunale di Vicenza, che ha accertato la natura professionale del tumore che ha provocato il decesso di un ex dipendente della ditta Miteni/ Rimar e ha condannato l’Inail a erogare le prestazioni dovute ai prossimi congiunti, riconoscendo così finalmente il nesso causale tra esposizione ai Pfas e tumori».
Alla lettura del dispositivo, le Mamme no Pfas presenti in aula si sono lasciate andare a profonda commozione e gioia. Michela Zamboni, mamma attiva dalla prima ora: «In questo momento siamo letteralmente sopraffatte dall’emozione. Speravamo in una sentenza così, ma sentire leggere in aula tutti i nomi nostri e dei membri delle nostre famiglie, e pensare alla storia che c’è dietro a ciascuno di questi nomi, è stato davvero molto forte. Ora la nostra missione non si ferma: ci sono gli altri gradi di giudizio, ma stiamo ancora aspettando che inizi la bonifica del sito Miteni che continua a sversare veleni in ambiente, attendiamo una legge che imponga limiti nazionali allo sversamento di queste sostanze e soprattutto perseguiamo il bando di queste molecole da ogni processo industriale». L’avvocato delle Mamme No Pfas Matteo Ceruti ha sottolineato il grande lavoro della procura e dell’accusa privata e si è detto convinto che si tratti di un precedente giurisprudenziale assai significativo in Italia, «siamo di fronte a un leading case, un caso che farà storia, perché le sentenze sull’avvelenamento delle acque si contano sulle dita di una mano, nel nostro Paese». Edoardo Bortolotto, avvocato dei lavoratori Miteni, non nasconde l’amarezza per non aver sentito i suoi assistiti tra le parti civili risarcite: «Parliamo delle persone che più di tutte hanno subito nella loro vita e nel loro fisico le conseguenze dell’esposizione a queste sostanze. Dovremo leggere le motivazioni quando saranno depositate e faremo tutti i passi necessari perché questa decisione sia rivista e venga riconosciuto anche ai lavoratori il dovuto risarcimento».
«Questa sentenza, applicando il principio “chi inquina paga”, suggella in maniera equa l’importanza della protezione della salute e dell’ambiente – ha riferito Piergiorgio Cortelazzo, presidente di Acque venete, gestore del servizio idrico con sede a Monselice, esprimendo rammarico per i danni incalcolabili che, al di là della sentenza, la contaminazione lascia dietro di sè – È priorità fondamentale la necessità di introdurre la responsabilità estesa a tutti quei soggetti che producono o utilizzano sostanze poli e perfluoroalchiliche. Bisogna mettere in campo tutte le azioni possibili per sostituire i Pfas nei numerosi impieghi civili e industriali, affinché anche in futuro i maggiori costi operativi e infrastrutturali per garantire la sicurezza dell’acqua non ricadano integralmente sulle tariffe dei cittadini».