I lacci scorrono veloci dentro gli occhielli delle scarpe, tesi in un movimento rituale delle mani che li intreccia tra loro. Prima una volta e poi una seconda, come si faceva da bambini, per evitare che, tra salti e corse, finiscano per sciogliersi. Ad intrecciarli questa volta, però, non sono le mani inesperte dei più piccoli, ma quelle nodose di chi, di lacci e di vita ne hanno intrecciati parecchi. L’emozione è comunque sempre la stessa che si respirava da bambini, alla vigilia di una nuova avventura. Il passare degli anni e le esperienze maturate nella vita hanno aggiunto una discreta dose di timori e preoccupazioni. Ma, fatto un bel respiro, ecco che il cuore salta come un giovincello oltre l’ostacolo. E allora dai, zaino in spalla si parte.
Attorno agli anni 820 e 830 d.C., in un bosco chiamato Libredòn, viene scoperta la tomba dell’apostolo san Giacomo Maggiore. Quello che, come ci narrano i Vangeli, è stato uno degli apostoli prediletti di Gesù – insieme a Pietro e Giovanni assiste sul monte Tabor alla Trasfigurazione – era stato missionario in quella che era allora l’Hispania tra il 33 e il 42 d.C. Tornato a Gerusalemme subisce il martirio e viene decapitato nel 44 d.C. I suoi discepoli desiderano riportare il suo corpo in quella terra baciata dal sole che avevano percorso insieme. Trafugano il suo corpo e lo portano sulle coste della Galizia, risalgono il rio Ulla e sbarcano sulle coste di Padròn, dove trovano un approdo sicuro. Si incamminano quindi nell’entroterra e decidono di sotterrarlo nel bosco di Libredòn, a una novantina di chilometri da quel Finis Terrae che, allora, rappresentava la fine del mondo.
All’epoca non c’erano internet e i social, ma la notizia del ritrovamento del sepolcro romano dell’apostolo Giacomo in quello che viene subito rinominato “campus stellae” (“campo della stella”, dal quale deriva l’attuale nome di Santiago de Compostela) si diffonde velocemente in tutto il vecchio continente. E ben presto iniziano i pellegrinaggi a piedi. Una decina quelli riconosciuti ufficialmente. Il più famoso e percorso ancora oggi è il Cammino francese, che giunge in Spagna attraverso i Pirenei.
Nel Medioevo il pellegrinaggio giacobeo attira gente anche dai paesi scandinavi (Norvegia, Svezia, Danimarca, Finlandia o Islanda) e, soprattutto, inglesi, scozzesi, islandesi e fiamminghi. La storia di questi pellegrinaggi inizia nel XII secolo. Le cronache narrano che nel 1147 a visitare la tomba di Santiago è una squadra di crociati formata da inglesi, tedeschi e fiamminghi. E dal monaco islandese Nikulàs Bergsson ci è giunta la descrizione scritta del suo viaggio dall’Islanda a Roma, passando da Santiago.
Sono tutti questi pellegrini ad aver tracciato nei secoli il “Cammino inglese”, che in Galizia prevede due itinerari. Uno, il più corto, inizia A Coruña (74,8 km), mentre l’altro parte da Ferrol (118,39 km). Ed è proprio lungo questo cammino che, all’inizio di luglio, un gruppo di 39 pellegrini della diocesi di Bolzano-Bressanone si è messo in cammino alla volta di Santiago. Ma il tracciato pensato dall’ufficio diocesano pellegrinaggi ha spostato la partenza circa 16 km più a nord. Sulla spiaggia di Valdoviño.
Coi piedi che sprofondano nella sabbia chiara e fine della costa e lo sguardo che si perde all’orizzonte, non si fatica a comprendere perché quel comune di poco meno di 7mila abitanti sia tanto amato dai surfisti.
Il 2 luglio è ancora molto presto per vedere gli amanti del surf volare sulla cresta delle onde. Ma il vento è già lì, pronto. E questa volta sospinge i pellegrini, un po’ come fa un papà che dà una mano al figlioletto che inizia a prendere dimestichezza con la bicicletta, spazzando via timori e preoccupazioni dell’ultima ora. Nessuno osa dirlo, ma in tutti alberga la domanda “ce la farò ad arrivare alla fine della tappa?”. Una domanda che ciascuno porta nel suo zaino e che è stata una costante per tutto il cammino, divenendo più insistente quando la salita e il percorso si facevano più impegnativi. E stranamente, in tutti quei momenti di difficoltà, è sempre intervenuto il vento, mai contrario, sempre a favore, pronto a scompigliare i capelli e a spingere le spalle.
A Ferrol il tracciato ufficiale del cammino parte dal porto di Curuxeiras, che era il porto dei pescatori. Il comune galiziano di 66mila abitanti per diversi decenni era chiamato “El Ferrol del Caudillo”, nome dovuto al fatto che la città diede ai natali al dittatore Francisco Franco (al potere in Spagna tra il 1936 e il 1975); era stato lo stesso Franco a imporre nel 1938 al suo luogo di nascita il toponimo derivato dal soprannome “el Caudillo” (il “duce”, il “condottiero”). Oggi a Ferrol i segni di quegli anni bui non sono più visibili. Ne rimane traccia solo nei libri di storia e nei ricordi dei tanti anziani che abitano la città. Una città legata principalmente alle attività marinare (anche militari), che per decenni ha vissuto un forte spopolamento, legato alla mancanza cronica di lavoro, e alla conseguente emigrazione delle nuove generazioni.
Tappa dopo tappa, accompagnati dalle tradizionali conchiglie e frecce gialle, il “cammino” porta a scoprire piccoli gioielli di storia e di cultura spagnola e galiziana come il villaggio di Neda, che sorge alla fine dell’estuario di Ferrol, terra di mulini e fornai dove il pane è un vero e proprio monumento. C’è poi Pontedeume (8.300 abitanti), con il suo ponte in pietra (da cui prende il nome la città), ricostruito nel 1863 per sostituire un vecchio ponte gotico costruito da Fernán Pérez de Andrade, insieme a due torri, una cappella e un ospedale per pellegrini. E Miño, comune situato nella parte interna dell’estuario di Betanzos, noto per essere la “patria” delle tortillas, le celebri frittate di patate spagnole. Quello di Betanzos è uno dei centri storici meglio conservati di tutta la Galizia. Nei suoi edifici più antichi prevale lo stile gotico, oltre a buoni esempi di architettura popolare. Qui, come in tutti gli altri centri della regione, non passano inosservate le vetrate formate da tante piccole finestre: una scelta dovuta, per preservarle dal forte vento che caratterizza l’intera regione.
Il “cammino” è un viaggio nella storia e nella cultura di una regione, la Galizia, ma è anche un immergersi nei suoi boschi e nella sua natura. Dovunque ti giri trovi piante spontanee di ortensie blu e viola alte anche più di due metri, con fiori grandi come meloni e le piante di limoni cariche di grossi frutti. E poi ci sono le grandi distese di mais e le centinaia di piante di eucalipto le cui cime, nei boschi, sospinte dal vento ondeggiano elastiche a oltre 10 metri di altezza. C’è poi l’oceano, a un paio di centinaia di metri di distanza, che non fa mai mancare la sua brezza e il suo profumo. Una natura tutta da scoprire anche per i pellegrini altoatesini, nati e cresciuti in montagna, con la cresta delle Dolomiti a segnare la cornice tra terra e cielo. E per chi, per vocazione, ha deciso di dedicare la sua vita a Dio, trascorrendo le sue giornate in monastero e ora ha deciso di mettersi in cammino verso Santiago.
Il “cammino” è incontro con e tra le persone. Con la gente del posto, così come con chi offre ospitalità e cibo ai pellegrini. Tutto registrato nei timbri raccolti nella “credencial del pellegrino”. Davanti a un bicchiere di vino bianco, una “cerveza” (birra) o una bottiglietta di “agua fria” (acqua fredda), sempre accompagnati da una “tapa” (che, per le loro varietà e dimensioni generose sarebbe ingiusto definirle “tartine”), c’è l’incontro con chi, quel cibo si alza ogni mattina di buon’ora per prepararlo. Come la simpatica proprietaria di “O camiño es vida”, una donna tanto mingherlina quanto energica e scattante, che in un paio di metri quadrati gestisce una vera e propria cucina attrezzata, dove è possibile trovare ogni ben di dio, mentre da sotto il bancone sgattaiola fuori la sua barboncina, due soldi di cacio carichi di vitalità, dal nome spagnolo che è un portafortuna (mentre letto in italiano sarebbe una parolaccia). E come non ricordare Adelina, proprietaria del “bar Estanco” a Carral, in cui si potrebbe tranquillamente ambientare un film. Lei, irrefrenabile, corre dentro e fuori, incurante delle montagne di stoviglie sporche accatastate sul bancone (quando siamo arrivati noi era appena terminata una festa di compleanno) per accompagnare tutti i pellegrini che fanno sosta da lei a visitare la cappelina dedicata a San Rocco che si trova sull’altro lato della strada (a tutti il compito di “tocar la campana”, suonare la campana prima di entrare) e a far abbracciare il grande albero davanti alla cappella.
Poi, dopo decine di chilometri macinati giorno dopo giorno, quando le gambe ormai vanno da sole, dopo aver attraversato anche il “bosque incantado” e aver riempito di foto la memoria del cellulare, ecco che si arriva a Praza dell’Inmaculada. Le note della cornamusa che arrivano dal sottopasso annunciano che la meta è ormai vicina. Il cellulare torna in tasca e si lascia che le gambe vadano verso la meta, mentre gli occhi cercano di catturare la bellezza che ti circonda, fino a quando, scese le scale, si arriva a Plaza del Obradoiro e ci si trova di fronte alla maestosità della cattedrale di Santiago. Gli zaini diventano finalmente leggeri. Le domande e i timori che hanno pesato lungo il cammino non ci sono più. Ci sono solo la gioia e gli abbracci. E la sorpresa del botafumeiro che, grazie all’offerta di una parrocchia statunitense, al termine della messa delle 12 – quella dedicata ai pellegrini giunti in città quel giorno –, ondeggia leggero e maestoso sulle note dell’inno a Santiago.
“È gioia, felicità, orgoglio e tristezza misto a lacrime per essere riuscita di nuovo a fare il cammino – scrive Inge su Ig –. Prima di partire ho avuto un dubbio: riuscirò ancora a farcela? Ho camminato, ho fatto il mio percorso e oggi posso esprimere solo profonda conoscenza e gratitudine”.
PS: Il “cammino” è anche la storia della più “grande” del gruppo altoatesino, che con i suoi 78 anni non si è arresa un attimo. Ed è anche la storia di John, pellegrino olandese di oltre sessant’anni, che abbiamo incontrato martedì 8 luglio, al cippo del km 0 che si trova a Finisterre. Quasi incredulo dalla gioia, ha voluto condividere con noi la sua felicità: è partito il 2 aprile dall’Olanda, ha camminato da solo per 2.500 km e dopo Santiago è arrivato “alla fine del mondo”.