Idee
L’andamento dei conti pubblici italiani si presta a una valutazione relativamente positiva. Certo, la variabile Trump rende tutto molto aleatorio e ogni previsione in materia economico-finanziaria rischia di essere rapidamente e radicalmente ribaltata. Ma si ragiona con i dati disponibili e nel breve periodo non si può non rilevare come il famigerato spread, l’indice che misura il differenziale tra i rendimenti dei titoli di Stato con Paesi confrontabili con il nostro, sia sceso ai minimi dall’aprile 2010 per quanto riguarda la Germania e si sia praticamente azzerato in rapporto alla Francia. La causa è da rintracciare soprattutto nel calo dei titoli francesi e tedeschi, ma sicuramente ha inciso la maggiore stabilità politica di Roma rispetto a Berlino e Parigi. Esattamente il contrario di quanto accadeva pochi anni fa e l’esecutivo può legittimamente beneficiarne in termini di consenso, senza dimenticare che in passato l’esplosione dello spread era stata persino causa di cambi di governo.
Attenzione però a non concentrarsi unicamente sugli aspetti finanziari, un atteggiamento che paradossalmente le forze che compongono l’attuale maggioranza contestavano in passato ad altri esecutivi, soprattutto quelli “tecnici”. Peraltro anche sul piano finanziario il nostro Paese presenta criticità molto importanti, a cominciare dal debito pubblico che ha ormai superato i tremila miliardi di euro. Ma questo dato, che comunque dovrebbe scongiurare i trionfalismi, non fa che avvalorare la linea prudente tenuta complessivamente dal governo in materia di bilancio.
Il principale punto debole è rappresentato piuttosto dalla scarsa produttività da cui il nostro Paese non riesca a svincolarsi. A maggio il comparto industriale è tornato in negativo, dopo che il mese precedente aveva fatto sperare in un’inversione di tendenza rispetto a una lunga fase con il segno meno. Più in generale è l’andamento del Prodotto interno lordo, che misura la crescita in senso ampio, a registrare questa cronica difficoltà. Il Pil italiano continua ad avere un incremento inferiore alla media europea e se lo scarto si è ridotto il motivo è che la media europea è diminuita a causa della crisi tedesca. Colpisce che crescano molto, molto di più dell’Italia – e con situazioni politiche interne problematiche – la Spagna e il Portogallo. La bassa produttività è anche una delle chiavi di lettura che spiegano come sia possibile che l’occupazione continui ad aumentare più del Pil in misura assai significativa. I nuovi posti di lavoro, infatti, sono di scarsa qualità e con stipendi bassi. L’incremento è dato piuttosto dal permanere in servizio degli over 50.
Qui sono in gioco le dinamiche demografiche e in prospettiva la stessa tenuta di un sistema di welfare che appare in affanno, come dimostrano due esempi in altrettanti settori strategici. Il primo è costituito dai ripetuti flop che stanno investendo l’attuazione del Pnrr nel campo degli asili nido. L’obiettivo è stato fortemente ridimensionato rispetto agli intenti iniziali, ma anche così è altamente probabile che il traguardo non sia raggiunto. Il secondo è quello delle liste d’attesa nella sanità, oggetto di provvedimenti mirati che però, stando ai dati dei primi mesi dell’anno, sono ben lontani dai risultati che ci si prefiggeva di ottenere. Tenere in ordine i conti, insomma, non basta se poi non si riesce a convertire questo comportamento virtuoso in fattori capaci di ridurre le disuguaglianze sociali.