L’estate del 1994 – quella dei mondiali USA 94 – è ormai un lontano ricordo. Eppure l’espulsione di Zola contro la Nigeria, il rigore sbagliato di Baggio nella finale contro il Brasile, le lacrime di Baresi sono ricordi che, per chi ama il calcio, quello sano, restano difficili da dimenticare. Eppure per i tifosi di Padova quei ricordi si mescolano con altri decisamente meno amari.
Torniamo al 1994: il Milan degli olandesi dominava la scena e il look stravagante di Ruud Gullit suscitava simpatie anche in chi non condivideva la fede rossonera. Un’altra squadra, all’epoca, attirava le attenzioni degli italiani: la Sampdoria. Reduce dalla vittoria dello scudetto nel 1990-91, nel 1994 schierava giocatori come Zenga in porta, il compianto Sinisa Mihajlovic in difesa, Attilio Lombardo a centrocampo e Roberto Mancini in attacco, senza dimenticare proprio Gullit, che ebbe una parentesi in maglia blucerchiata prima di trasferirsi in Inghilterra e chiudere la carriera al Chelsea nel 1998. In panchina sedeva lo svedese Sven Goran Eriksson.
Una data di quel periodo rimane impressa con chiarezza in scrive: domenica 4 settembre 1994. In quella giornata l’immagine nitida è quella di un padre sorridente che invita a salire di corsa i gradoni per scoprire per la prima volta un campo da calcio in uno stadio vero. Lo stadio era il Renato Dall’Ara di Bologna, sede della prima giornata di campionato di serie A tra la Sampdoria e il Padova, costretto a giocare in campo neutro per la squalifica del Marassi di Genova.
Ecco perché l’estate del 1994 per i tifosi del Padova risultò dolce: dopo anni di tentativi, la squadra veniva promossa in serie A nello spareggio contro il Cesena.
Al fischio d’inizio nella partita contro la Sampdoria, quel bambino di quasi cinque anni iniziò a tifare l’unica squadra che conosceva, quella dei blucerchiati, tanto che al primo gol di Mancini ci fu un’esultanza spontanea. Ma subito arrivò la correzione paterna: la squadra da tifare era quella con la maglia bianca. A quattro anni, che altro si poteva sapere? Da lì lo sguardo si fissò sui giocatori biancoscudati e uno in particolare saltò all’occhio: un cappellone con capelli e barba rossi, il primo americano tesserato in una squadra di serie A, Alexi Lalas. Simbolo anni ’90 per il suo modo di porsi con tifosi e giornalisti, famoso anche per i siparietti con la chitarra, fu subito eletto dallo scrivente come giocatore preferito.
Quella partita fu una “tragedia sportiva”: la Sampdoria vinse per cinque a zero. Ma da quella domenica iniziò un percorso d’amore per il Padova, tra alti e bassi.
Nel panorama calcistico italiano, Inter, Milan e Juventus hanno assorbito la maggior parte dei tifosi, specie negli anni ’90 e nei primi anni 2000. Allo scrivente sedicenne, simpatizzante interista, capitò l’occasione di assistere a un Inter-Empoli in curva nord, partita vinta 4-1, con in campo campioni come Adriano, Figo, Cruz e Martins. L’atmosfera di San Siro era indescrivibile, ma qualcosa dentro smosse un pensiero preciso: «Quanto bello sarebbe poter cantare qui “Ma quando torno a Padova”», canzone del compianto cantautore padovano Umberto Marcato?
Da quel momento, lo scrivente continuò a seguire le partite dell’Inter con simpatia, ma senza vergognarsi di portare a scuola una sciarpa biancoscudata, dono di un amico del padre. Una sciarpa del “Club biancoscudato da Aristide”, vecchio club nel vecchio quartiere di san Gregorio.
Da allora il Padova divenne la priorità, anche allo stadio o in trasferta, secondo la filosofia “Support your local team”, ovvero supporta la tua squadra locale.
Negli anni da tifoso del Calcio Padova si è visto di tutto: promozioni, retrocessioni, fallimenti sportivi e non, ripartenze dai dilettanti, campionati persi all’ultimo, e, più recentemente, una promozione in serie B. Quest’anno racconteremo, ogni settimana, sul sito della Difesa le vicende di questa squadra, con la speranza di vivere un’annata positiva e di far innamorare sempre più persone del Padova, sognando un giorno di poter tornare a San Siro per tifare la propria squadra.