Fatti
Una resa per alcuni, un compromesso comunque negativo per molti. L’accordo sui dazi tra Usa e Ue non è piaciuto per nulla al mondo dell’agricoltura e dell’agroalimentare europeo e nazionale. Una valutazione che, a ben vedere, ha molte ragioni d’essere. L’impressione generale che si ricava dalle cronache è una sola: che l’agricoltura sia stata in qualche modo sacrificata a interessi più vasti.
I conti – all’indomani della definizione dell’intesa – sono stati fatti pressoché da tutti con gli stessi risultati. Le nuove tariffe al 15% sui prodotti agroalimentari italiani rischiano di costare, stando per esempio a Coldiretti e Filiera Italia, oltre 1 miliardo di euro al comparto con alcuni dei prodotti più rappresentativi – come vino, olio, pasta e suinicoltura – tra i più colpiti. Proprio il vino e l’olio, ma anche alcuni formaggi, appaiono essere i prodotti costretti a pagare di più. Ancora i coltivatori diretti hanno fatto notare come gli Stati Uniti, con quasi 8 miliardi di euro di export nel 2024, siano il principale mercato extra-Ue per il cibo italiano ma, appunto, come i vini e gli oli di oliva in prima fila. Il vino, così, prima voce dell’export rischia dazi per 290 milioni di euro. L’olio extravergine di oliva teme un aggravio di oltre 140 milioni. La pasta di semola vedrà un aumento di quasi 74 milioni. I formaggi restano stabili, già gravati da tariffe tra il 10% e il 15%. C’è poi il caso del Pecorino. Confagricoltura fa notare che per questo prodotto gli Usa valgono 170 milioni di euro. E non basta. Oltre ai dazi, pesano anche le cosiddette barriere non tariffarie e la disparità di regole in fatto di tutela della salute dei consumatori.
Coldiretti e Filiera Italia parlano di una trattativa “sbilanciata a favore degli Stati Uniti, dove ancora una volta a pagare è l’agricoltura europea”. E poi ancora: “Ci aspettavamo almeno l’esclusione del vino dalla lista dei dazi, ma così non è stato”. Confagricoltura distingue: l’accordo raggiunto “segna un passo avanti nei rapporti commerciali transatlantici e dà certezze alle due economie, ma penalizza pesantemente alcuni comparti strategici del Made in Italy agroalimentare”. Mentre Cia-Agricoltori Italiani parla di “una resa” e spiega: “La perdita di competitività ridurrà le nostre quote di mercato negli Usa, senza ottenere nulla in cambio”.
Se questa è la situazione, è necessario tuttavia chiedersi cosa potrà essere fatto da qui in avanti. Filiera Italia e Coldiretti iniziano a chiedere sostegni economici immediati per i settori agroalimentari più colpiti oltre ad un cambio di passo, da qui in avanti, nell’atteggiamento dell’Europa verso il resto del mondo. Confagricoltura, partendo dalla constatazione che “al momento non ci sono aperture e tempistiche concrete” per modifiche all’intesa, parla di una “rigidità che alimenta le preoccupazioni” e chiede che almeno il vino torni a beneficiare di un dazio zero. Secondo Cia, il rischio concreto di un calo dell’export è molto alto, con danni a comparti strategici e un aumento dei costi per le imprese italiane, che tenderanno a perdere margini di profitto oppure a dover trasferire parte di questi costi sui consumatori, rischiando di ridurre la domanda nel mercato Usa. Un orizzonte nel quale si delineano “potenziali ricadute occupazionali qualora i dazi non vengano mitigati con accordi o misure di sostegno”. Rimane la constatazione inziale: pare proprio che l’agricoltura e l’agroalimentare siano stati sacrificati per raggiungere obiettivi più vasti e generalizzati.