Chiesa
C’è una “pandemia delle armi, grandi e piccole, che infetta il nostro mondo”. In inglese, all’Angelus, Papa Leone XIV torna a esprimere la sua vicinanza – lo aveva già fatto con un telegramma a firma del cardinale Segretario di Stato – alle vittime della sparatoria avvenuta, quattro giorni fa, durante una messa in una scuola del Minnesota. Ma c’è quel “grandi e piccole” che porta il concetto di pandemia fuori dagli Stati Uniti. Così la sua vicinanza è anche per “gli innumerevoli bambini uccisi e feriti ogni giorno in tutto il mondo”; tanto che chiede a Maria di “aiutarci a realizzare la profezia di Isaia: ‘spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci’”.
In questo appello alla pace non può mancare l’Ucraina dove la guerra semina morte e distruzione e dove i bombardamenti hanno colpito “diverse città compresa la capitale Kyiv” – il nome in ucraino – causando numerose vittime. Esprime vicinanza al popolo e alle famiglie ferite e chiede di “non cedere all’indifferenza, ma a farsi prossimi con la preghiera e con gesti concreti di carità”. Rinnova, quindi, il “pressante appello per un cessate il fuoco immediato e per un serio impegno nel dialogo”. Ai responsabili chiede di rinunciare “alla logica delle armi” per scegliere “la via del negoziato e della pace, con il sostegno della comunità internazionale”. Deve tacere la voce delle armi “mentre deve alzarsi la voce della fraternità e della giustizia”.
I “nostri cuori sono feriti” anche per la morte di 60 persone, un centinaio i dispersi, nel naufragio dell’imbarcazione carica di migranti che tentavano di raggiungere le isole canarie: “una tragedia mortale” che “si ripete ogni giorno ovunque nel mondo”. Il Signore “ci insegni, come singoli e come società, a mettere in pratica pienamente la sua parola: ‘Ero straniero e mi avete accolto’”.
Nelle parole che pronuncia dopo la recita della preghiera mariana, il Papa ricorda anche che il primo settembre è la Giornata di preghiera per la cura del creato voluta da Papa Francesco in sintonia con le Chiese ortodosse. Nel pomeriggio di venerdì 5 settembre Leone XIV sarà a Castelgandolfo per inaugurare il Borgo Laudato Sì, un percorso di 55 ettari in cui la cura del creato – il tema di quest’anno è “Semi di pace e di speranza” – e il rispetto della dignità umana trova le sue radici nella fede. Un Tempo del Creato che si prolungherà, per volontà di Papa Leone, fino al 4 ottobre festa di San Francesco e nello spirito del Cantico di frate sole composto 800 anni fa: un modo per impegnarci “a non rovinare il suo dono ma a prenderci cura della nostra casa comune”.
Angelus nella domenica in cui la liturgia ci propone il brano di Luca del pranzo con uno dei capi dei farisei: è il terzo e ultimo invito che Gesù accetta da un fariseo. La parabola che viene proposta è appunto quella dell’invito a un banchetto nunziale: “quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: Cedigli il posto… Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto”.
Un brano che si può riassumere nella parola umiltà: “chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato” ricorda sempre Luca. Ma c’è di più nella parabola, c’è quell’ultimo posto che rappresenta, in un certo senso, la “condizione dell’umanità degradata dal peccato”; un “ultimo posto” che Cristo ha voluto scegliere nella croce “e proprio con questa umiltà radicale ci ha redenti”, ricordava Benedetto XVI nella Deus caritas est.
Papa Leone XIV commenta il testo di Luca ricordando che Gesù ci invita alla libertà e “usa la parola ‘umiltà’ per descrivere la forma compiuta della libertà. L’umiltà, infatti, è la libertà da sé stessi”. Pensiamo a come “spesso riduciamo la vita a una gara, a come diventiamo scomposti per ottenere quale riconoscimento, a come ci paragoniamo inutilmente gli uni agli altri”; ecco che ritrovarci alla “mensa eucaristica, nel giorno del Signore, significa anche per noi lasciare a Gesù la parola”. Fermarci a riflettere, chiede Leone XIV, a “lasciarci scuotere da una Parola che mette in discussione le priorità”. Di qui l’invito a guardare la chiesa come “una palestra di umiltà, cioè quella casa in cui si è sempre benvenuti, dove i posti non vanno conquistati, dove Gesù può ancora prendere la parola”.