Mosaico
La scorsa settimana, la prestigiosa rivista Time ha pubblicato la lista dei 100 personaggi più influenti del mondo dell’intelligenza artificiale (https://time.com/collections/time100-ai-2025/). Scorrendo la lista, non stupiscono i nomi dei più grandi scienziati che hanno inventato questo “dono di Dio” come lo aveva chiamato Papa Francesco nel suo famoso discorso al G7, né i grandi manager e amministratori delle aziende che hanno reso possibile tutto ciò e hanno la grande responsabilità di costruire e distribuire tecnologie così potenti.
Più sorprendenti sono altri nomi che compongono questa variegata lista. Tra essi possiamo trovare medici, politici, artisti, attivisti, registi, scrittori, musicisti, militari, accademici, insegnanti. Anche Papa Leone. Ci sono donne e uomini, europei, americani, asiatici, africani e australiani, giovani e anziani.
Che cosa ci insegna questa lista così ricca e articolata?
Anzitutto l’elenco ci ricorda che il fenomeno dell’intelligenza artificiale non può essere ricondotto a un solo fatto tecnologico, relegato al mondo degli ingegneri e dei loro sodali. Siamo davvero davanti a una innovazione tecnologica che segna e trasforma ogni aspetto dell’esperienza umana, incidendo nel profondo ogni pratica e ogni ambiente. Non è la prima tecnologia generale con cui abbiamo a che fare: dopo la sempre presente e comprensibile perplessità iniziale abbiamo imparato a giovarci (e molto!) di tecnologie altrettanto invadenti quali la scrittura o l’elettricità.
La seconda riflessione che la variegata lista del Times impone è conseguenza diretta della prima. Se vogliamo – e dobbiamo! – gestire questa trasformazione così ampia e pervasiva, dobbiamo farlo insieme e non lasciare la questione in mano solo ai tecnici o ai regolatori internazionali. Nessuno è esente da questo fenomeno e ognuno, per le responsabilità che gli sono date o che può assumere, è chiamato a lavorare per comprendere il fenomeno e abitarlo in modo umano. Quanti, vuoi per età, cultura, carattere, situazioni dicono: “io non voglio avere a che fare con questa roba” sono solo come gli struzzi che mettono la testa sotto la sabbia e semplicemente lasciano che altri, e la tecnologia stessa, li usino senza pietà.
Neanche scelte troppo di nicchia saranno utili: se gli ingegneri continueranno a parlare solo con gli ingeneri, gli avvocati solo con gli avvocati, i filosofi solo con i filosofi, rischieranno tutti l’inutilità della iperspecializzazione, Anche le tentazioni nazionalistiche e autarchiche, con cui ogni tanto si dichiara di voler gestire questo fenomeno globale, saranno spazzate via senza troppo riguardo. La via umana dell’intelligenza artificiale è necessariamente una via condivisa e ampia.
In questa logica non stupisce il fatto che un tavolo dedicato esplicitamente all’intelligenza artificiale sia stato organizzato all’interno della terza edizione del Summit della fratellanza universale che si celebra in Vaticano in questi giorni.
Saranno presenti quasi tutti i massimi esperti del mondo del settore, insieme a uomini e donne di diverse estrazioni culturali e geografiche. Due giorni insieme, seduti allo stesso tavolo, al lavoro su un medesimo testo redatto grazie al pensiero di tutti e capace di ospitare la posizione di tutti. Decisamente un’operazione complessa e faticosa. L’unica però possibile se non vogliamo lasciarci sopraffare da chi non ha a cuore il bene delle persone, della società e del pianeta che abitiamo.
L’intelligenza artificiale, come ogni altro dono di Dio, è affidata alla libertà degli uomini e al loro comune vocazione alla fraternità. È la sfida vertiginosa di questo nostro tempo.