Fatti
Sulle decisioni in materia internazionale la politica italiana non riesce a trovare un punto di equilibrio e spesso dà il peggio di sé. Due esempi recentissimi sono più eloquenti di tante parole. Nel dibattito sull’aumento delle spese per la difesa, alla Camera il “campo largo” – vale a dire il centro-sinistra esteso al massimo del suo perimetro – si è diviso addirittura in cinque. Tante erano, infatti, le mozioni presentate dai vari partiti, dal Pd ad Avs, tutte bocciate perché in Parlamento in numeri a favore del centro-destra non danno scampo. Ma questo non significa che la maggioranza governativa sia perfettamente coesa in politica estera. Anzi, è vero il contrario ed è per questo che lo schieramento del centro-destra ha evitato di presentare mozioni. Il rischio da evitare era che si replicasse l’esito del voto sulla Palestina al Parlamento europeo, laddove Forza Italia ha votato a favore, la Lega contro e Fdi ha optato per l’astensione, come sta facendo spesso per non esasperare i contrasti nella coalizione e anche per barcamenarsi nei grovigli del rapporto della premier con Trump.
Se gli stessi partiti procedono in ordine sparso all’interno dei rispettivi schieramenti, figurarsi se si riesce a imbastire un minimo di dialogo tra maggioranza e opposizione. Eppure ce ne sarebbe un grande bisogno di fronte a una situazione paragonabile a quella che nel 1914 finì per condurre alla Prima guerra mondiale, per citare il parallelismo usato dal capo dello Stato. “Ci si muove su un crinale dal quale si può scivolare in un baratro di violenza incontrollato”, ha ammonito Sergio Mattarella nel corso della visita ufficiale in Slovenia, e la sua analisi è stata pubblicamente condivisa dal segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin. Il presidente della Repubblica è tornato sul concetto proprio nel messaggio per i 70 anni del Papa. Ma neanche un allarme così autorevole è stato finora in grado di sbloccare l’impasse. Ogni tanto qualche segnale tra maggioranza e opposizione si fa timidamente strada nel dibattito mediatico e c’è da sperare che al di là di quanto emerge sulla ribalta il dialogo reale sia più intenso e frequente.
Si sente talvolta affermare che la politica estera dovrebbe essere un terreno privilegiato di convergenza tra le forze rappresentate in Parlamento, in nome di un interesse nazionale superiore alle convenienze di parte. Dovrebbe essere così e lo è stato in talune circostanze. Non va però dimenticato che la storia dei primi decenni della Repubblica è stata invece segnata dalla “guerra fredda” e quindi da una cesura radicale tra maggioranza e opposizione sulla collocazione internazionale dell’Italia. La differenza di fondo con la situazione presente è che allora – diciamo simbolicamente fino alla caduta del Muro – il quadro globale era molto (fin troppo) stabile e questo si rifletteva anche sui rapporti tra i partiti. Adesso la situazione è confusa e imprevedibile, sono venuti meno o ridotti ai minimi termini i punti di riferimento e le sedi del confronto multilaterale. E se l’Italia aspira ad avere un ruolo positivo e da protagonista, deve innanzitutto riaprire i canali della comunicazione al suo interno.