Idee
Quanti di voi sanno a cosa pensa un adolescente italiano quando sente parlare di challenge? A detta dei primi risultati dell’Indagine Adolescenti Laboratorio Adolescenza-IARD 2025 probabilmente molto pochi. Non sappiamo, cioè, che il modo con cui gli adolescenti si sperimentano nei loro limiti e nelle loro capacità di superali, anche di trasgredirli, accade ormai facilmente in rete, dentro una mediazione tecnologica che, come ormai abbiamo imparato, amplifica a dismisura contatti e solitudine, proposte e giudizi. Le challenge sono quelle per cui, nei casi più gravi, qualche ragazzino perde la vita per aver indossato – è il caso di qualche settimana fa – una maschera da sub per un tempo assurdo, incitato in rete dagli amici e dal popolo di coetanei che sulla rete si ritrova.
Gli adolescenti nell’era digitale fanno gli adolescenti: si confrontano con il loro corpo (sono ossessionati dalla bellezza), ridisegnano le relazioni (oggi a base di like), sperimentano limiti, provano a superarli nel tentativo di trovare una loro strada. Talvolta in modo tragico.
Tra gli aspetti che la rete accentua dismisura emerge la totale assenza degli adulti. Succedeva anche prima (quale adolescente voleva vivere le sue esperienze in presenza dei suoi genitori?), ma il mondo dei social ha la capacità di escludere totalmente gli adulti dal mondo dei ragazzi. Ciò che fa il figlio di notte a letto con il suo cellulare acceso fino quasi all’alba è un mondo precluso (talvolta sconosciuto) a genitori e educatori.
C’è un altro dato che colpisce nella ricerca appena pubblicata: la paura nei confronti dell’intelligenza artificiale. Siamo abituati a pensare le giovani generazioni a loro agio nel mondo digitale, fin quasi schiavi di quell’ambiente e dei suoi dispositivi. Per questo il dato stupisce e stride con l’uso assolutamente generalizzato che i ragazzi fanno di questa tecnologia. Tutti usano l’intelligenza artificiale ma solo il 20% delle ragazze e il 44,7% dei maschi (interessante la differenza di genere) pensano che questa tecnologia porterà benefici.
Il dato, soprattutto se confermato nei prossimi anni, merita approfondimenti decisamente più significativi. La sensazione è che, ancora una volta, i ragazzi sperimentino una solitudine e un abbandono davanti a questa novità. Il mondo adulto è ammutolito davanti alla transizione digitale in atto e non è capace di offrire alle giovani generazioni un senso, un orizzonte, una chiave interpretativa del fenomeno con cui confrontarsi, anche contestare, certamente riconfigurare, immaginando il loro futuro.
Ancora una volta emerge la questione radicale dell’etica dell’intelligenza artificiale: non bastano paletti e regole con cui tentare di arginare qualcosa che ci sorprende e ci spaventa; abbiamo bisogno di una visione di umanità e di società per questo tempo digitale. Di un’idea di futuro.
Chi persegue solo una narrazione pessimistica e apocalittica, di fatto ammutolisce ogni elaborazione positiva e propositiva. Per di più, e paradossalmente, lo fa in un contesto schizofrenico: il terrore per la tecnologia passa ormai quasi sempre attraverso i social e quelli che si lamentano dello smartphone in mano ai ragazzi sono quasi sempre i primi che lo usano in modo sconsiderato.
L’intelligenza artificiale davvero è un dono di Dio, come diceva Papa Francesco. Ci impone di tornare a pensare il futuro nostro e dei nostri ragazzi e di imparare una coerenza nelle scelte che possa essere esemplare per loro, capace cioè di costituire un comportamento con cui possono confrontarsi e immaginare il loro.