Chiesa
La risurrezione di Gesù costituisce il centro assoluto della fede cristiana, come testimoniato dalle celebri parole di Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi: “Se Cristo non è risorto, vuota è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede” (1 Cor 15,14). Quest’affermazione lapidaria rivela come l’apostolo considerasse la risurrezione non un evento accessorio, ma il fondamento stesso del cristianesimo. Paolo prosegue con argomentazioni ancora più radicali: “Se Cristo non è risorto, voi siete ancora nei vostri peccati. Anche quelli che sono morti in Cristo sono dunque periti” (1 Cor 15,17-18). L’apostolo presenta così la risurrezione come l’evento che determina l’efficacia salvifica dell’opera di Cristo e la speranza escatologica dei credenti. Il testo di 1 Corinzi 15,3-8 rappresenta la più antica testimonianza scritta della risurrezione, contenendo una tradizione (paradosis) che Paolo stesso dichiara di aver ricevuto: “Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto: che Cristo morì per i nostri peccati, secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno, secondo le Scritture, e apparve a Cefa, poi ai Dodici”. L’uso dei termini greci paredōka (“ho trasmesso”) e parelabon (“ho ricevuto”) indica chiaramente che Paolo sta citando una tradizione preesistente, utilizzando la terminologia tecnica della trasmissione rabbinica. Gli studiosi, credenti e non credenti, concordano unanimemente che questa formula risale a pochissimi anni dopo la morte di Gesù, probabilmente al 35-36 d.C. La formula presenta elementi linguistici chiaramente non paolini: l’uso di “apparve” (ōphthē), “per i nostri peccati”, “secondo le Scritture”, “i Dodici” – termini che Paolo non ripeterà più nelle sue lunghe lettere. Questo conferma l’antichità e l’origine indipendente della tradizione. Il kerygma primitivo si articola attorno a quattro affermazioni centrali: La morte di Cristo “per i nostri peccati”, la sepoltura che conferma la realtà della morte, la risurrezione “il terzo giorno”, le apparizioni ai testimoni designati. Ogni elemento è validato dal riferimento alle Scritture, mostrando come la comunità primitiva leggesse questi eventi alla luce delle profezie veterotestamentarie. Per Paolo, “tutto ruota attorno a questo centro gravitazionale. L’intero insegnamento dell’apostolo Paolo parte dal e arriva sempre al mistero di Colui che il Padre ha risuscitato da morte”. La risurrezione, dunque, costituisce “un dato fondamentale, quasi un assioma previo” su cui si basa tutto il kerygma apostolico. La teologia presenta morte e risurrezione come “due aspetti dell’unico evento salvifico: il Crocifisso è il Risorto, nell’uno è sempre presente l’altro”. Questa unità inscindibile rivela come la croce acquisti significato salvifico solo alla luce della risurrezione. La risurrezione non è semplicemente il ritorno alla vita, ma “il trionfo sul peccato e sulla morte” che apre la prospettiva della vita eterna. Come afferma la tradizione patristica, essa rappresenta la manifestazione definitiva della vittoria di Dio sul male e sulla morte. Un elemento cruciale per la valutazione storica è la trasformazione radicale dei discepoli: da un gruppo timoroso e deluso divennero testimoni coraggiosi capaci di affrontare persecuzioni e martirio. Questa trasformazione costituisce un indizio storico significativo della realtà dell’esperienza pasquale. La risurrezione di Gesù emerge così dalle testimonianze neotestamentarie come l’evento fondante del cristianesimo, il centro gravitazionale attorno al quale ruota l’intera fede cristiana, attestato sia dalla tradizione kerygmatica primitiva di Paolo, sia dai racconti evangelici che, pur nelle loro differenze, convergono unanimemente sul dato essenziale: il Crocifisso è vivente e la morte non ha l’ultima parola sulla storia umana.