Idee | Lettera.D
Lei, la presidente della Commissione europea, ci prova a svolgere il compito assegnatole dai trattati Ue, ma il quadro è complesso (qualcuno dice fuori controllo) e del resto non mancano retromarce ed equivoci da parte sua.
Così, all’indomani del Discorso sullo stato dell’Unione, pronunciato dinanzi all’Europarlamento il 10 settembre a Strasburgo, che avrebbe dovuto segnare un cambio di passo nel percorso dell’Unione Europea, ci si trova al punto di partenza, con qualche perplessità in più.
Nel suo lungo intervento in emiciclo, Ursula von der Leyen è ovviamente partita, accentuando l’enfasi, dai temi della sicurezza e della difesa («siamo in lotta», «difenderemo ogni centimetro di suolo europeo»), ha attraversato i nodi dell’economia (debole la denuncia della scellerata politica Usa sui dazi), non ha mancato di toccare alcune questioni più vicine ai cittadini, fra cui il costo della vita e il problema casa. Attesa a pronunciare parole forti sul versante internazionale, ha assunto una posizione decisa verso Israele: il quale, esercitando la “legittima difesa” dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, in realtà è andato ben oltre, con una violenta, ingiustificata escalation su Gaza, che ha già lasciato sul campo 60 mila morti e una città rasa al suolo, con un popolo di sfollati in fuga dai carri armati di Tel Aviv. In questo passaggio del suo intervento, come in alcuni altri, prendendo finalmente le distanze dall’azione di Netanyahu, Von der Leyen ha ottenuto il plauso quasi unanime degli eurodeputati.
Eppure, complessivamente la presidente della Commissione non ha convinto. In un tempo di accelerate trasformazioni epocali, l’Ue dovrebbe ripensarsi, rilanciarsi, consapevole che l’eurocentrismo non esiste più e che semmai occorre tornare ai fondamenti del processo di integrazione: pace, cooperazione solidale tra gli Stati, forte senso della cittadinanza democratica, valorizzazione dei territori, mercato unico ed economia sociale di mercato, aperture alle altre Regioni del mondo, a cominciare dall’Africa.
Detto questo, occorre riconoscere che la presente fase storica pone sfide sulle quali nessuno – proprio nessuno – mostra ricette credibili e concretamente perseguibili.
Il quadro internazionale è segnato dal ritorno della politica muscolare e degli eserciti. I conflitti non hanno mai abbandonato la vicenda umana, ma ora la storia è segnata da una recrudescenza planetaria, rendendo assai difficile, apparentemente impossibile, pensare alla pace e alla costruzione di relazioni fruttuose tra i popoli e gli Stati. Il caso dell’aggressione russa all’Ucraina ne è l’emblema a noi più vicino e più evidente.
D’altro canto, Ursula von der Leyen ha alle spalle un’Europa divisa: il sovranismo lievita, intacca politica e istituzioni in quasi tutti i Paesi membri dell’Unione, innescando processi di sospetto reciproco, di chiusura, tanto da mettere in pericolo la “casa comune” europea, nel segno della rinazionalizzazione e della disgregazione. Basterebbe citare l’antieuropeismo del presidente ungherese Orban e le sue simpatie per Putin. E a Orban non mancano cattive compagnie…
Non ultimo – e qui emergono più dirette le responsabilità personali di Von der Leyen – la presidente della Commissione, pressata a destra e a manca, sembra rinunciare ad alcuni punti caratterizzanti la sua linea politica, annunciati all’inizio del suo primo mandato quinquennale (2019) e progressivamente smarriti. Qualche esempio? La lotta al cambiamento climatico, mediante il Green Deal, è finita nel dimenticatoio anche su pressione di governi e lobby negazionisti, interessati solo a politiche di corto respiro. Sulle migrazioni la linea che si va adottando è solo quella dei respingimenti e dei rimpatri. Altre questioni legate allo sviluppo regionale, alla cultura, alla giustizia sociale, all’equità fiscale, nonché le necessarie riforme per far funzionare meglio l’Ue, non sono più in cima all’agenda della Commissione.
Von der Leyen non è certo l’unica responsabile del rallentamento del cammino dell’Unione Europea (considerando che in genere è il Consiglio, dove siedono i governi nazionali a tirare il freno a mano): ma il suo profilo politico e istituzionale lascerebbero sperare in una svolta. Che non può tardare.