Idee
Chissà se Clifford Simak, mentre nel 1980 scriveva il suo romanzo di fantascienza “Il Papa definitivo”, immaginava che meno di cinquant’anni dopo la sua fantasia sarebbe diventata un’ipotesi reale su cui il Papa reale ha dovuto intervenire.
Andiamo con ordine: Simak si immagina un pianeta lontano dalla terra in cui i robot, invidiosi degli uomini che hanno un’anima e quindi una religione, si costruiscono un loro vaticano pieno di robot-cardinali e, naturalmente un papa: un super computer che contiene tutti i dati della realtà e quindi è… infallibile!
Recentemente è stato proposto di realizzare una chatbot del Papa con cui chiunque può interloquire, vivendo una sorta di udienza pontificia personalizzata e sempre a disposizione. Il dibattito si è naturalmente acceso.
Una prima obiezione riguarda l’ortodossia delle risposte che il sistema potrebbe offrire. In realtà un sistema addestrato con tutti lo scibile della tradizione cattolica, dalla Bibbia fino all’ultimo pronunciamento papale, offrirebbe risposte sicure, al netto di qualche allucinazione (gli errori dell’intelligenza artificiale) che nel prossimo futuro saranno decisamente ridotti. Anche Papa Leone, nella sua prima intervista in cui è stato interrogato sul tema, fa riferimenti a questi possibili errori.
Non è però questa l’obiezione decisiva, anzi. La preoccupazione primaria sull’ortodossia delle risposte riflette una visione di esperienza cristiana che riduce la fede a un atto intellettuale (credere alcune cose) e la verità qualcosa che si può ridurre a una formulazione dogmatica. Il cristianesimo ridotto al solo catechismo. Fortunatamente però non è così: nel cristianesimo la verità è Gesù, una persona, e l’esperienza credente ha la forma di un cammino, una sequela: camminare dietro Gesù insieme ai suoi amici. Certamente c’è una dimensione intellettuale, ma questa non è primaria.
Nel cristianesimo sono decisive le persone: Gesù, i fratelli e le sorelle, ogni singolo essere umano. Nella medesima intervista, Papa Leone dice: “Di recente qualcuno ha chiesto l’autorizzazione a creare un me artificiale in modo che chiunque avrebbe potuto collegarsi a questo sito web e avere un’udienza personale con “il Papa”, ma questo IA Papa avrebbe dato risposte alle loro domande, e io ho risposto: “Non lo autorizzerò”. Se ci fosse qualcuno che non dovrebbe essere rappresentato da un avatar, direi che il Papa è in cima alla lista.” [L’intervista completa, in inglese, è sul sito www.cruxnow.com. La traduzione è dello scrivente].
Certamente l’intelligenza artificiale può offrire un aiuto nel ricercare fonti e materiali o produrre qualche semplice sintesi di alcuni punti; può anche fornire una qualche formulazione catechistica, ma non risolve minimamente la questione decisiva del cristianesimo: le relazioni. Il ministero specifico del Papa è presiedere la carità delle chiese, custodire l’unità del popolo di Dio che nasce dalla buona notizia di Gesù risorto. È servizio che chiede il mettersi in gioco di persona, che necessita di rapporti, di sguardi, di abbracci, di ascolto e di parole. Talvolta anche di silenzi.
Per questo motivo anche la pratica subito diffusasi della preparazione delle omelie demandata all’intelligenza artificiale risulta assolutamente insufficiente: che senso ha una predica che ripete idee e principi senza fare minimamente i conti con i volti e le storie delle persone presenti in quella specifica celebrazione?
L’introduzione dell’intelligenza artificiale nella pratica pastorale impone qualcosa di più che il semplice imparare a usare uno strumento nuovo. Essa chiede piuttosto una riflessione, sempre presente nella storia della chiesa, sulla qualità dell’esperienza cristiana che si annuncia e della vita comunitaria che si vuole edificare, al cui servizio poniamo doverosamente le più raffinate tecnologie del nostro tempo.