Fatti
Si fa presto a dire che le elezioni locali andrebbero valutate in chiave locale e non nazionale. Certo, in linea di massima si può presumere (e auspicare) che gli elettori giudichino e scelgano prevalentemente sulla base delle esigenze dei rispettivi territori e del valore dei candidati concretamente in pista. Ma quando ci si trova davanti una raffica di elezioni regionali come quella imminente è inevitabile che l’analisi assuma una prospettiva politica generale. A parte il fatto che ci sarebbe da discutere sulla natura effettivamente locale del voto nelle Regioni, enti che dopo la riforma costituzionale del 2001 si caratterizzano per una competenza di natura legislativa e i cui vertici svolgono spesso un ruolo nazionale. Restando però alle cronache di questo autunno, la serie di appuntamenti con le urne è illuminante sulla posta in gioco. Si comincia con la Valle d’Aosta (28 settembre) e con le Marche (28 e 29 settembre), si prosegue con la Calabria (5-6 ottobre) e con la Toscana (12-13 ottobre), si conclude la Campania, il Veneto e la Puglia (23-24 novembre). Tre mesi a seggi aperti, con i partiti in fibrillazione mentre a Roma va in scena la sessione di bilancio.
Rispetto all’impatto sugli equilibri nazionali, il paragone con le elezioni di metà mandato americane è fin troppo facile, anche se istituzionalmente si tratta di passaggi del tutto differenti. Pronostici e sondaggi – per quel che valgono – accreditano un pareggio: tre Regioni ai partiti di governo (Veneto, Marche e Calabria) tre a quelli di opposizione (Campania, Puglia e Toscana). Rimane fuori dal conto la Valle d’Aosta sia per la specificità del contesto, sia perché non prevede l’elezione diretta del Presidente. Delle altre sei, la Regione che secondo gli analisti sarebbe (il condizionale è d’obbligo) più contendibile è proprio la prima ad aprire i seggi: le Marche, che attualmente hanno un Presidente di Fratelli d’Italia.
Per motivi ovviamente opposti, i due poli contano su un effetto di trascinamento che potrebbe essere innescato da un eventuale successo marchigiano. Ormai non resta che attendere i numeri reali dello spoglio, snocciolati tornata per tornata, ben sapendo che anche in caso di pareggio tra Regioni, ciascuno schieramento troverà i motivi per cantare vittoria.
C’è poi da considerare un altro profilo non meno delicato a livello politico, vale a dire la competizione dentro gli schieramenti e all’interno degli stessi partiti, che è stata determinante nella selezione dei candidati “governatori” e che sarà molto rilevante anche in sede di bilancio dei risultati. Sul versante del cosiddetto “campo largo” il confronto è tra Pd e M5S, in gara per la leadership dello schieramento soprattutto in vista delle elezioni politiche del 2027. Ma anche sul versante opposto i rapporti non sono facili perché Fi e soprattutto la Lega stanno ben attenti a non farsi fagocitare da Giorgia Meloni, che ha un primato indiscutibile ma ha anche bisogno dei voti degli alleati per governare.
Infine – o forse prima di tutto – c’è l’incognita dell’affluenza alle urne. Nelle sette Regioni in cui si è votato nel corso del 2024, soltanto in quattro la partecipazione è stata superiore alla metà degli aventi diritto e di pochi decimali. Un precedente per nulla confortante.