L’intrusione salina è un fenomeno sempre più importante nella porzione di territorio prossima alla laguna di Venezia, anche se nel 2025 le precipitazioni abbondanti hanno evitato che si presentasse in modo grave. Ne sono tuttavia sempre più spesso interessati i territori strappati al mare dalle bonifiche e situati sotto il livello del mare tra Correzzola, Pontelongo, Codevigo, Cona, Cavarzere e Chioggia. Se ne è parlato a metà settembre nel corso di un incontro, nell’ambito del progetto europeo “Interreg Italia Croazia “SwamRisk”, in cui si è analizzato lo stato della situazione alla luce degli ultimi rilevamenti e sono state portate alcune possibili soluzioni, a partire da uno sbarramento sul Brenta.
Ad aggravare il problema, nell’area già più a rischio in Italia, c’è la particolare conformazione del territorio: fiumi come l’Adige, il Brenta, il Bacchiglione e il Gorzone sono arginati affinché le loro acque scorrano a un livello più alto rispetto ai terreni circostanti. I crescenti periodi di siccità con le conseguenti “magre” aprono alla risalita dell’acqua di mare anche di una ventina di chilometri, pregiudicando l’acqua dolce degli stessi fiumi ma soprattutto delle falde sotterranee, con il rischio desertificazione e un impatto devastante per l’agricoltura in un’area di 24 mila ettari.
I primi dati sulla risalita del cuneo salino risalgono al 1999. «Già prima – rileva Fabrizio Bertin, presidente del Consorzio di bonifica Adige Euganeo – avevamo però iniziato a notare una progressiva diminuzione delle rese agricole in queste zone ed erano ben visibili alcune macchie aride nei campi. Il sale rende i suoli non più adatti alle colture e mette a rischio intere economie rurali. Il problema si acuisce nei momenti in cui la campagna ha più bisogno d’acqua, come nel 2022, quando l’Adige raggiunse i minimi storici a causa della siccità».
Un preciso monitoraggio del fenomeno si fa oggi sempre più importante al fine di studiare soluzioni per contrastarlo: fin dal 2016 esiste ed è esecutivo il progetto di uno sbarramento presso Ca’ Pasqua, dove Brenta e Bacchiglione si incontrano, con paratoie di regolazione dei livelli dell’acqua e del deflusso, un ponte e una conca di navigazione. Mancano però i fondi.
Il progetto SwamRisk, che studia tutta l’area tra la laguna veneziana e il delta del Po e coinvolge, oltre al Consorzio di bonifica anche Regione Veneto e il Cnr, ha per obiettivo la raccolta di dati aggiornati, il ripristino di punti di monitoraggio esistenti e l’installazione di nuove e più moderne stazioni di osservazione, veri “occhi” nel sottosuolo: combinano ricerca idrogeologica avanzata con nuove soluzioni tecnologiche. Le centraline di rilevamento permanenti sono in grado di trasferire dati in tempo reale, tra cui il livello del cuneo salino, la conducibilità elettrica, la temperatura delle acque sotterranee. I dati confluiranno in un database accessibile a tutta la comunità scientifica.
Due pozzi definiti “super-siti” sono già stati realizzati nel bacino di Buoro e a punta Gorzone: proprio quest’ultimo è stato foriero di una scoperta inaspettata, una polla d’acqua dolce tra i 28 e i 35 metri di profondità, separata da uno strato di 10 metri di argilla dalla falda superiore che è invece pesantemente interessata dall’intrusione salina. «Una risorsa inattesa, da preservare e sfruttare senza aggravare problemi come la subsidenza», ha spiegato Luigi Tosi, dirigente di ricerca Cnr.
Alcune prove di immissione di acque dolci nel sottosuolo a Ca’ Pasqua hanno dato buoni esiti nel mitigare gli effetti della salinità su alcuni ettari di colture: per questo è allo studio la creazione di un bacino sperimentale in grado di supportare l’irrigazione, in caso di siccità e risalita di acque saline, fino a due settimane.