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Con l’editto – pubblicato anche nella versione cartacea e digitale della Difesa di questa settimana – si apre ufficialmente la causa di beatificazione e canonizzazione di don Giovanni Nervo. Anzi, del Servo di Dio don Giovanni Nervo: ora si può chiamarlo così. Non è il primo passo, ma è un passo importante: con l’editto la comunità ecclesiale viene formalmente informata e coinvolta. Infatti, tutti i fedeli – non solo della Diocesi di Padova, dato che don Nervo ne ha varcato i confini con il suo lunghissimo impegno in Caritas italiana, e oltre – «che avessero notizie dalle quali si possano arguire elementi favorevoli o contrari alla fama di santità del suddetto sacerdote – si legge – o fossero in possesso di scritti a lui attribuiti o in qualunque modo pertinenti alla causa» sono invitati a condividerli.
Le sue intuzioni pastorali e sociali
«La memoria di don Giovanni Nervo è ancora viva a Padova, ma non solo – sottolinea il postulatore, il diacono Francesco Armenti – È stato ecletticamente impegnato a livello nazionale, con la Caritas italiana ma anche – mi verrebbe da dire – a livello mondiale. Ecco perché nella causa, oltre alla Diocesi di Padova, sono parte attiva Caritas italiana (di cui è stato il primo presidente, nel 1971) e Fondazione Emanuela Zancan (a cui ha dato i natali). Da queste realtà provengono i vice-postulatori della causa: Diego Cipriani, don Antonio Cecconi e Tiziano Vecchiato. Hanno tutti e tre conosciuto e lavorato a lungo con don Giovanni. Anch’io l’ho conosciuto, quando ero impegnato nella Caritas della mia Diocesi, San Severo, in Puglia. Lo ricordo così: seduto all’ultimo posto, ai convegni, come uno sconosciuto qualsiasi, in un silenzio attento. Era discreto e umile, rispettoso delle opinioni altrui. Tutte… Penso che ancora oggi la Chiesa italiana “viva di rendita” del suo pensiero, delle sue intuizioni pastorali e sociali, ma anche della sua profezia».
Le virtù del Servo di Dio
L’editto è il frutto di un’azione precedente «condotta dall’attore principale – la Diocesi di Padova – che ha individuato il postulatore e, su nomina di quest’ultimo, i vice-postulatori. Studiata la figura e la spiritualità del Servo di Dio e constatata la fama di santità, il postulatore ha chiesto all’ordinario competente, in questo caso al vescovo Claudio Cipolla, attraverso il supplice libello di poter aprire l’inchiesta diocesana. Questa richiesta è stata effettuata il 13 dicembre, data di nascita di don Nervo, dello scorso anno. Il vescovo ha poi chiesto il parere della Conferenza episcopale Triveneto anche per sondare se la fama di santità va oltre la Diocesi. Ottenutolo, ha richiesto il cosiddetto “nulla osta” al Dicastero per le cause dei santi. “Nulla osta” che è giunto e ha dato il via alla causa di beatificazione e canonizzazione».
Lo scopo dell’inchiesta diocesana «è la raccolta di prove a favore e contrarie – evidenzia don Armenti – per dimostrare che il Servo di Dio ha vissuto, o meno, le virtù teologali e cardinali in maniera esemplare, gode di fama di santità ed eventuale fama dei segni per presunte grazie e miracoli attribuiti alla sua intercessione. Attraverso gli officiali del Tribunale ecclesiastico, la commissione storica e i censori teologi per gli scritti – tutti nominati dal vescovo – l’inchiesta diocesana raccoglie tutte queste prove ascoltando i testimoni presentati dalla postulazione, ma anche altri che si riterrà opportuno, e ricercando documenti. Per don Giovanni questa ricerca è molto ampia, perché il suo ministero è stato vissuto a livello diocesano e nazionale. Già molto è stato raccolto dalla Caritas italiana e dalla Fondazione Zancan. Il frutto del lavoro a livello diocesano verrà poi trasferito a Roma per la successiva fase di studio».
Fama di santità: cos’è?
«Non c’è una definizione esatta della fama di santità. Possiamo dire che si coglie nel popolo di Dio quando la figura – in questo caso don Giovanni Nervo – è ricordata, amata, considerata come un intercessore per le proprie grazie di fronte a Dio, quindi è pregata. La fama di santità è data dall’amore che il popolo ha per il Servo di Dio. Potremmo dire che già sente nel suo cuore, lo venera come santo e lo prega. Rimettendosi per l’ufficialità, però, al giudizio della Chiesa».
Ha riportato il povero al centro
Conclude don Francesco Armenti: «La figura di don Giovanni è molto complessa, perché è considerato da molti un “ideatore” della pastorale della carità, anche se – per me – è un “profeta” della carità, perché non si è limitato solo alle idee, ai progetti innovativi pastorali, ma ha saputo cogliere il senso della fede e il senso del Concilio Vaticano II. È stato profeta in un tempo in cui non era facile parlare di animazione della carità e di pace. La carità – diceva don Nervo – non è un optional ma il cuore del Vangelo. Parlare di questo, ai suoi tempi, non raccoglieva consensi. Don Giovanni non ha parlato solo dei poveri, lui è stato povero, si è fatto povero e ha preso il povero e lo ha riportato al centro della Chiesa. Se ci pensiamo, ha anticipato papa Francesco, che desiderava una Chiesa povera per i poveri».
Ha commentato il Vangelo sulle pagine della Difesa

A metà settembre, nel centro studi Zancan di Malosco, in Val di Non, si è tenuto un seminario di studio sulle fonti che documentano le virtù di don Giovanni Nervo. Numerose le testimonianze, dal vivo o scritte, di chi l’ha conosciuto. La Difesa del popolo ha “condiviso” i commenti al Vangelo della domenica che don Nervo ha scritto per tre anni a partire dall’anno liturgico 1993-94.
Prossimamente si aprirà – con un appuntamento pubblico – la fase diocesana del processo di beatificazione e canonizzazione di don Giovanni Nervo. «È un momento non solo formale – spiega il postulatore Francesco Armenti – a cui è invitato il popolo di Dio.
Così come la sessione di chiusura del processo diocesano, non deve però dare l’idea che sia già una anticipazione o proclamazione di santità. Ci rimettiamo sempre al giudizio ultimo della Chiesa, anche se il popolo di Dio ha molto più fiuto sulla santità rispetto alle istituzioni. La santità è il desiderio di essere felici! Desiderio che è per tutti…».
Che il popolo di Dio partecipi alla sessione di apertura del processo diocesano «è un invito a confrontarsi con un testimone. Confronto che ti fa dire: anch’io come lui posso e devo camminare nelle vie del Signore, vivere il Vangelo, testimoniare l’amore e farmi santo. È un invito a una gustosa “cena”, a luculliano “pranzo”. D’altronde cos’è la santità se non il banchetto eucaristico del Cielo dove ci cibiamo eternamente dell’amore ricevuto e donato? Un banchetto dove sono seduti soprattutto i poveri e gli ultimi».