Scelto dalla “rosa” di cinque candidati al ruolo previsto dallo statuto sull’onda della prescrizione del Ministero della cultura (con il decreto 463 del 23 dicembre 2024), Alessandro Businaro da un paio di settimane incarna il direttore artistico junior per il Teatro stabile del Veneto. Anche per lui con la priorità del rapporto con il territorio, le scuole e le Università.
«Nel teatro junior mi auguro vada in scena un teatro sempre meno mascherato. Con questo intendo non soltanto un teatro che faccia i conti con la realtà, ma anche un teatro che sia difficile da identificare e che faccia come proprio strumento di massima forza ed espressione proprio la capacità di essere plurale e cangiante» afferma convinto. E chiosa in punta di consapevolezza: «Anche la maschera del giovane sappiamo tutti che, in realtà, non esiste e mi auguro che il teatro junior sappia eluderla»
Classe 1993, nato a Villa Estense, Alessandro Businaro ha frequentato l’Accademia nazionale d’Arte drammatica Silvio d’Amico ed è co-fondatore della Compagnia Bus 14. Nel 2018 e 2019 partecipa alla Biennale College-Registi under 30, arrivando entrambe le volte in finale.
Nel 2020 partecipa alla 48a edizione della Biennale Teatro con lo spettacolo George II. «Una drammaturgia che era arrivata qualche mese prima in finale al Premio Riccione–Vittorio Tondelli e che mi interessava molto perché parlava di ereditarietà e dell’essere figli in determinate comunità privilegiate – ricorda Businaro – Si parlava di famiglia, ma in un senso più ampio, come tribù del mondo occidentale. Grazie a questo progetto sono entrato in contatto con il Teatro Verdi».
Il suo curriculum evidenzia il progetto “Déjà vu” che ha ricevuto il sostegno di European festivals fund for emerging artists. Inoltre ha collaborato con realtà teatrali francesi. E dal 2021 dirige il Festival teatro a Rocca di Mezzo, sulle montagne in provincia de L’Aquila.
Cosa prevede, almeno in bozza, il “copione” del nuovo Direttore artistico junior nel Teatro nazionale a Nord Est?
«Il copione ha come prima didascalia “Alessandro entra, guarda e ascolta”. Questo è il punto di partenza: cercare di ascoltare ciò che già esiste, sia dentro alla struttura del Teatro stabile del Veneto ma, soprattutto, fuori dalle mura: nelle città di Padova, Treviso e Venezia. Dopodiché servirà, battuta dopo battuta, pagina dopo pagina, rendere la trama sempre più ambiziosa, evitando i cliché e cercando di raggiungere finali imprevedibili e inevitabili. Per leggere (o scrivere, forse) ci vorranno pazienza e visione d’insieme».
Da Villa Estense (cap 35040) nella Bassa padovana fino a Parigi (cap 75001), metropoli d’Europa: com’è cambiata la vita a poco più di 30 anni?
«Ho imparato negli anni che i luoghi in cui si vive sono determinanti per quello che si realizza. Ho vissuto, come dicevi, i primi diciotto anni di vita in un paese di 2.000 persone con la totale incoscienza di quello che sarebbe stato il mio percorso. Di quel cap 35040 mi sono sempre portato dietro lo stupore per le cose nuove e quel non dare mai per scontato nulla. La provincia ti mette di fronte alla disconnessione, accentuando questo bisogno di essere in contatto con un altrove. Questo altrove, per me, è sempre stato il teatro. Negli ultimi quattro anni ho vissuto a Parigi: qui ho trovato un’enorme densità di stimoli che, forse, proprio grazie al mio essere provinciale, ho saputo dosare e centellinare. Scopriremo nei prossimi anni cosa sarà rimasto di questo incontro tra due mondi così diversi. Sono il primo a essere curioso».
Il Teatro Maddalene vanta una lunga storia “alternativa”, prima del recupero strutturale da parte del Comune. Ora c’è la gestione “sperimentale” del Teatro stabile del Veneto: come si caratterizza?
«Sarà un luogo dove metteremo in questione il termine “teatro”, dove attiveremo una serie di progetti corali che tendono la mano alla comunità giovane della città di Padova. Sappiamo che la parola teatro deriva dal verbo greco theàomai, “guardare, essere spettatore”, ma siamo ancora sicuri che possa esistere un teatro nel futuro che permetta solo di assistere? Ecco, credo che al Teatro Maddalene dovremmo partire da qui: un teatro che chiede una partecipazione attiva della comunità».
Perché la scelta di Pirandello (Vestire gli ignudi che debutta il 12 novembre, in scena la Compagnia Giovani del Teatro stabile del Veneto) come primo appuntamento del cartellone?
«Abbiamo scelto una drammaturgia di un autore estremamente conosciuto e abbiamo creato uno spettacolo partecipativo che permetta al pubblico (che sarà prevalentemente di giovani) di prendere parola rispetto a due domande: cosa significa parlare per conto di un altro? che ruolo ha chi osserva un atto violento? Questo spettacolo mi piacerebbe fosse un primo ponte tra il mondo del teatro e i giovani di Padova, un terreno dialogico che mette in crisi alcuni preconcetti che si possono avere sul teatro e che dona nuova linfa per il teatro che verrà».
Dopo il Covid e nell’èra delle guerre, dov’è l’orizzonte futuribile del teatro ideato e prodotto con la regia artistica di un under 35?
«Non credo al teatro come strumento di distrazione e come luogo alternativo al reale, anzi. Mi auguro che il teatro rimanga sempre un luogo di messa in discussione del potere. E un luogo in cui si possa creare qualcosa insieme di effimero, ma che proprio per la sua natura condivisa e passeggera deve essere tutelato».
Prende il via il 3 ottobre l’edizione speciale della rassegna dell’Associazione Padova Urbs organi dal sottotitolo “Suoni alternativi per una rassegna in trasformazione” che propone, in via eccezionale, un programma non esclusivamente dedicato alla musica d’organo. L’intento è di valorizzare alcune eccellenze musicali profondamente legate a Padova, segnando al contempo nuove collaborazioni con realtà culturali e luoghi di particolare pregio. I concerti si svolgeranno nei primi quattro venerdì del mese di ottobre alle ore 21 e sono a ingresso libero e gratuito. Il concerto di apertura (il 3) sarà tenuto dal Trio Essenza del Mozarteum di Salzburg formato da Giacomo Furlanetto al violoncello, Maria Letizia Salerno Ballotta al clarinetto ed Amelia Buryte al pianoforte, nella chiesa di Sant’Antonio Abate in via Savonarola.