L’esortazione apostolica Dilexi te è il testimone che, nella staffetta tra i successori di Pietro, passa da Francesco a Leone. Ognuno ha fatto e farà la sua parte nella corsa, ma senza mai lasciar cadere la centralità, nell’esperienza cristiana, dei poveri. Non un aspetto residuale della realtà, ma l’oggetto/soggetto di una scelta preferenziale. Contrariamente a come va il mondo,
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i poveri sono una “scelta prioritaria” che “genera un rinnovamento straordinario sia nella Chiesa che nella società”.
Purché si sia capaci di liberarsi dall’autoreferenzialità e di ascoltare il loro grido.
Fin dalle prime battute dello scritto di Leone, è chiaro che i poveri non sono da identificarsi come i beneficiari delle nostre buone azioni sociali. Sono piuttosto un messaggio rivolto a ciascuno e alla società. Nei poveri il Signore della storia “ha ancora qualcosa da dirci”. È il tema, caro a Francesco, dei poveri che evangelizzano i ricchi, resi ciechi dal benessere, al punto da pensare che la felicità possa realizzarsi soltanto se si riesce a fare a meno degli altri. “In questo, i poveri possono essere per noi come dei maestri silenziosi, riportando a una giusta umiltà il nostro orgoglio e la nostra arroganza” (108). “Nel silenzio della loro condizione, essi ci pongono di fronte alla nostra debolezza”.
Che cosa è la povertà? Dannazione o maledizione? E chi sono i poveri? Coloro che sono esclusi “dal tenore di vita minimo accettabile”, come dice l’Europa? Le vittime dell’ingiustizia, dei cambiamenti climatici, dell’economia che uccide, delle migrazioni forzate? Della cultura dello scarto e di una certa “meritocrazia” per la quale “sembra che abbiano meriti solo quelli che hanno avuto successo nella vita”?
C’è una cosa che mi ha colpito. In tutta l’esortazione apostolica “sull’amore verso i poveri” si cita la Caritas una sola volta, nel capitolo dedicato all’accompagnamento dei migranti (“…gli sforzi di Caritas Internationalis…”). Nel resto del documento nulla di nulla. Non suona strano, in una società nella quale ogni volta che si parla dei poveri la prima a essere interpellata è la Caritas, nelle sue espressioni nazionale, diocesana, territoriale? Una dimenticanza?
Papa Leone e Papa Francesco ci raccontano, nuovi compagni sulla strada di Emmaus, come le Scritture fin dall’inizio mettano al centro il povero. E come la stessa vita di Cristo sia stata segnata da uno stile di povertà. E come i primi cristiani abbiano spezzato con i poveri il loro pane. E così avanti, dagli antichi padri alle comunità monastiche, dagli ordini mendicanti ai profeti sociali, fino alla dottrina sociale della Chiesa, al Concilio, ai giorni nostri. “Il cuore della Chiesa, per sua stessa natura, è solidale con coloro che sono poveri, esclusi ed emarginati, con quanti sono considerati uno ‘scarto’ della società. I poveri sono nel centro stesso della Chiesa” (111).
L’attenzione ai poveri è dunque “parte essenziale dell’ininterrotto cammino della Chiesa”.
La Caritas, a ogni livello, serve soprattutto per questo. Non per sostituirsi alla comunità nella testimonianza della carità, ma per ricordare a tutti che “la carità è una forza che cambia la realtà, un’autentica potenza storica di cambiamento” (91). Per questo (104) “il cristiano non può considerare i poveri solo come un problema sociale: essi sono una ‘questione familiare’. Sono ‘dei nostri’”. E dunque “il rapporto con loro non può essere ridotto a un’attività o a un ufficio della Chiesa”.
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La carità non si delega e i poveri sono un messaggio, un impegno per tutta la comunità cristiana, non un “compito” per la Caritas.
I poveri mettono alla prova la nostra credibilità di cristiani (Giacomo: “A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere?”).
L’orizzonte per la comunità cristiana oggi (e sempre) è descritto con intensa e disarmante semplicità al numero 120: “L’amore cristiano supera ogni barriera, avvicina i lontani, accomuna gli estranei, rende familiari i nemici, valica abissi umanamente insuperabili, entra nelle pieghe più nascoste della società. Per sua natura, l’amore cristiano è profetico, compie miracoli, non ha limiti: è per l’impossibile. L’amore è soprattutto un modo di concepire la vita, un modo di viverla. Ebbene, una Chiesa che non mette limiti all’amore, che non conosce nemici da combattere, ma solo uomini e donne da amare, è la Chiesa di cui oggi il mondo ha bisogno”.
Una Chiesa che ama, povera, per i poveri.