Chiesa
Alla luce del numero di persone che cercano rifugio in Germania e delle pressanti questioni sociali e politiche ad esso connesse, la Conferenza episcopale tedesca (Dbk), durante l’assemblea plenaria autunnale del settembre 2015, nominò mons. Stefan Heße, arcivescovo di Amburgo, “Rappresentante speciale per le questioni dei rifugiati”. Sotto la sua guida, è stata istituita la task force della Dbk sulle questioni dei rifugiati, con l’organizzazione di convegni annuali e forum internazionali sui rifugiati, e con un coordinamento tra i responsabili per i migranti delle varie diocesi tedesche.
Impegno cresciuto nel tempo. In questi dieci anni – a partire dalla storica dichiarazione “Ce la possiamo fare”, che l’allora cancelliera Angela Merkel pronunciò riferendosi all’afflusso massiccio di migranti e profughi nell’estate 2015 –, il contributo della Chiesa in materia di accoglienza, impegno finanziario, progetti educativi e di scolarizzazione, e asilo ecclesiastico, è cresciuto e ha raggiunto standard di livello elevato: la partecipazione delle diocesi, delle organizzazioni umanitarie, di migliaia di volontari è stata analizzata dalla recente Assemblea plenaria autunnale della Dbk, durante la quale mons. Heße ha presentato il documento “‘Ce la possiamo fare’: al fianco di chi cerca protezione – L’aiuto cattolico ai rifugiati 2015-2025 come contributo alle sfide della migrazione”.
La grande emergenza. A partire da quel 2015, durante il quale oltre un milione di richiedenti asilo arrivò in Germania – soprattutto siriani, iracheni, afghani –, la società civile tedesca dovette confrontarsi con la realtà di chi era “costretto a lasciare la propria patria a causa della guerra e della violenza; persone che, anche a causa del peggioramento della situazione nei Paesi di prima accoglienza, hanno intrapreso il pericoloso viaggio verso l’Europa”, ha scritto il vescovo di Amburgo. Le sfide erano grandi. Ma lo sforzo federale e delle organizzazioni locali e umanitarie, con le Chiese, rese possibile accogliere oltre un milione di persone, alleviando le loro sofferenze.
Accoglienza e volontariato. Heße ricorda che “il 2015 rimane giustamente nella memoria di molti come una tappa importante: nelle diocesi, nelle associazioni Caritas, nelle parrocchie, nelle comunità religiose e in molti altri luoghi, l’impegno a favore dei rifugiati si è notevolmente ampliato e intensificato”.
La risposta del volontariato cattolico nel 2015 e 2016 fu massiccia, con oltre 100mila volontari impegnati nei diversi settori.
Anche per la diminuzione dell’afflusso e le restrizioni all’ingresso nelle frontiere tedesche, i volontari sono oggi più o meno 35mila, a fronte, nella sola Germania di oltre 500mila profughi assistiti dalle istituzioni collegate alla Chiesa cattolica.
Interventi in vari ambiti. Dal 2015 la Chiesa cattolica in Germania ha speso almeno 1,1 miliardi di euro per l’aiuto ai rifugiati, di cui circa il 60% all’estero e il 40% in Germania. L’impegno internazionale corrisponde in un certo senso alla realtà dei fatti: gli oltre 120 milioni di rifugiati nel mondo, sono accolti soprattutto nei Paesi del Sud del mondo, mentre l’Europa chiude o contingenta le frontiere.
In Germania l’azione della Chiesa cattolica non è solo offerta materiale di beni e conforto.
L’arcivescovo di Amburgo, ha elencato l’assistenza psicosociale e pastorale; la promozione linguistica ed educativa; il sostegno e la protezione dei gruppi particolarmente vulnerabili, con l’impegno per garantire vie di accesso sicure, e il ricongiungimento familiare; assistenza legale e procedurale per lo status di profugo e per l’asilo; campagne di educazione sociale contro il razzismo e il rigurgito xenofobo di questi ultimi anni; la consulenza lavorativa; la cura spirituale con l’attenzione alle culture e lingue originarie, la formazione scolastica e professionale di base.
Diritti umani e dignità. La Chiesa cattolica tedesca ha scelto, in questi anni di dare un ulteriore abbrivio all’aiuto ecclesiastico ai rifugiati, anche in considerazione del clima sociale peggiorato con ostilità esplicite, atteggiamenti e comportamenti razzisti e xenofobi a diversi piani della società tedesca, dai partiti alle amministrazioni locali. Il valore simbolico dell’asilo ecclesiastico è particolarmente significativo al momento attuale. In un momento in cui la Germania si sta spostando verso istanze populiste e anti-immigrati, l’asilo ecclesiastico fornisce un contrappeso: il Movimento ecumenico “Asyl in der Kirche” sottolinea che “Rappresenta un punto esclamativo per una società che non cerca di isolarsi, ma riconosce i diritti umani e la dignità di tutti. Questa secolare pratica di carità cristiana non deve essere messa in discussione, soprattutto non nel 2025”.
Dibattito nel Paese. Da diversi mesi cova un dibattito sull’asilo ecclesiastico, che oggi si conferma più importante che mai, perché contribuisce in modo molto concreto a proteggere le persone da espulsioni disumane. Il fatto che il numero delle espulsioni e dei rimpatri sia in aumento, anche in caso di rischio per la vita del richiedente asilo, e vi sia un numero crescente di cosiddetti casi “Dublino”, in cui le persone possono essere espulse “solo” in altri Paesi dell’Ue, non può essere utilizzato come argomento a favore di un’interpretazione eccessivamente ampia dell’asilo religioso.
Ma l’aumento del numero di casi dell’asilo ecclesiastico è una conseguenza dell’inasprimento delle pratiche di espulsione da parte dello Stato.
Anche l’argomentazione secondo cui l’asilo religioso mina lo stato di diritto non è convincente. Sebbene non vi sia alcuna base giuridica a sostegno di ciò, dal 2015 esiste un accordo tra l’Ufficio federale per la migrazione e i rifugiati e le Chiese. In ogni singolo caso, le congregazioni collaborano strettamente con l’Ufficio e lo Stato è libero di bloccare l’asilo ecclesiastico in qualsiasi momento.
“L’ultimo tentativo legittimo”. Asyl in der Kirche precisa che “l’asilo ecclesiastico è l’ultimo tentativo legittimo (ultima ratio) di assistere i rifugiati, garantendo loro protezione temporanea presso una chiesa o una comunità monastica, al fine di ottenere un esame rinnovato e attento della loro situazione”. Le comunità ecclesiali che concedono asilo ecclesiastico si battono per le persone la cui vita, incolumità fisica o libertà sono minacciate dall’espulsione, o per le quali l’espulsione comporterebbe difficoltà inaccettabili.
Allo stesso tempo, si battono per il diritto, sancito dalla Costituzione, alla tutela della dignità umana, della libertà e dell’integrità fisica delle persone interessate.
Concedendo asilo ecclesiastico, le comunità fungono da intermediarie tra le autorità e i rifugiati. L’asilo ecclesiastico crea tempo per ulteriori negoziati, per l’esaurimento di tutti i rimedi legali e per un’attenta valutazione della richiesta di protezione, nonché un giusto processo. In molti casi, si ottiene una nuova procedura o un diritto di soggiorno. In tutti i casi, le autorità competenti vengono informate della permanenza nel sistema di asilo della Chiesa.