«Benvenuto nella tua Chiesa»: così titolava in prima pagina La Difesa del popolo del 18 ottobre 2015. Quel giorno, mons. Claudio Cipolla – nominato vescovo di Padova da papa Francesco il 18 luglio e ordinato nella sua Mantova il 27 settembre – entrava ufficialmente in Diocesi. A dieci anni da quel momento, dopo molti e molti passi compiuti, abbiamo chiesto ad alcuni amici di “catturare” un ricordo – personale, certo, ma con un respiro ecclesiale – e di indirizzare a don Claudio, così ha voluto farsi chiamare fin da subito, un augurio.
«C’è un “di più” che manca sempre, quando si parla o si lavora con il vescovo Claudio: un’intuizione in più, una suggestione in più, un’attesa in più, continuamente rilanciano il discorso o la possibile soluzione». È il vicario generale, don Giuliano Zatti, a parlare di questo “di più”. E aggiunge: «Quando si è arrivati a qualche traguardo, o quando si raggiunge l’intesa attorno a un contenuto, si è ributtati oltre, come se qualcosa sempre mancasse e sempre andasse cercato, senza accontentarsi del risultato. Al vescovo Claudio piace sbaragliare le carte e cambiare il gioco: le prospettive rimangono aperte, la partita torna sul tavolo. E si ricomincia».
E ancora: «Quando ci si potrebbe fermare, si riparte; quando si vorrebbe godere di qualcosa di acquisito, si lavora ancora. C’è sempre un “di più” che non va trascurato, o dimenticato, o semplicemente messo da parte. Una sorta di sana inquietudine accompagna il nostro lavoro accanto al vescovo Claudio. Del resto la Chiesa tutta segue un Maestro che “praecedet suos”, come recita la Sequenza di Pasqua, perché li attende oltre».
«Dieci anni di presenza, gesti, parole e Sinodo – sottolinea don Zatti – diventano gratitudine nei confronti del vescovo Claudio, perché il gioco non si impara mai del tutto e la partita di cui dicevo è sempre da giocare. Non ci si annoia con il vescovo Claudio: il cuore e la mente si tengono vivi».
«Nel 2019, con la mia nomina a economa e responsabile dell’Ufficio amministrativo della Diocesi, il vescovo Claudio si è preso una bella responsabilità!»: lo afferma Vanna Ceretta. «Mi ha affidato un compito delicato e impegnativo che ha aperto una nuova strada nella nostra Chiesa, affidando a una laica un ruolo tradizionalmente ricoperto da un presbitero o da un diacono».
Continua: «Fin dai primi incontri ha chiesto di intraprendere un percorso di trasparenza riguardo alle informazioni sui dati economici e finanziari, senza ombre o “non detti” che avrebbero potuto generare pregiudizi e mancanza di fiducia. Nella presentazione alla Diocesi del primo bilancio pubblico, il 29 ottobre 2016, ci diceva: “Se impariamo a gestire con responsabilità e trasparenza il nostro patrimonio, apriamo una porta al dialogo, la nostra parola diventa credibile e forse possiamo creare le condizioni per arricchirci tutti del Vangelo, che è il nostro vero e unico patrimonio”».
Leggendo i testi di presentazione bilancio con cui ogni anno ha aperto il fascicolo consegnato alla Diocesi «ritroviamo la sua linea pastorale su questo ambito: chiara, senza incertezze, rivolta alla crescita della comunità cristiana e alla sua formazione sui temi della gestione dei beni e della legalità. Ed è arrivato fino al punto di “costringerci” alla certificazione del bilancio, passaggio che ha richiesto molte energie e cambiamenti organizzativi, ma che è diventato un valico profetico anche per la Chiesa italiana».
«Grazie don Claudio per esserti assunto dieci anni fa la responsabilità di guidarci con fermezza anche in questo ambito economico e amministrativo perché diventasse parte integrante della pastorale diocesana. Auguri per la tua vita, che sia sempre piena dello Spirito per continuare a ricordarci che siamo chiamati, come gli apostoli, alla responsabilità di gestire con trasparenza ogni offerta, anche i pochi spiccioli della povera vedova».
«Sguardo perplesso e contrariato, postura impacciata… e di fronte un’intera azienda – operai, impiegati, dirigenti – in attesa solo delle sue parole, della sua attenzione… La prima visita alle imprese, nel primo mese di maggio da vescovo di Padova – racconta suor Francesca Fiorese, responsabile dell’ufficio per la Pastorale sociale e del lavoro – si conclude disapprovando le visite in azienda, che, secondo la sua esperienza, non sono da fare trattandosi di mondo altro, che non gradisce la presenza della Chiesa. La mia delusione… ve le lascio immaginare; come non gioire per una delle esperienze più significative della “chiesa in uscita” che incontra la gente là dove vive e fatica?».
E ancora: «Non demordo e continuo a proporre l’esperienza, ma neppure lui demorde e pian piano lo sguardo cambia e accoglie la bontà dell’incontro in luoghi altri e con persone altre, che attendono uno sguardo e una parola utili a dare un senso al loro lavoro, alle loro vite. Ora sa di essere atteso, si lascia abbracciare dall’affetto dei lavoratori, ascolta gli imprenditori, visita volentieri le aziende mostrando curiosità e interesse, lascia un suo messaggio sapendo che le parole autentiche possono dare speranza. E in me resta un sentimento di stima e di gratitudine nei confronti di Claudio uomo lombardo, perché conosco la nostra durezza (sono lombarda anch’io), di don Claudio che ha ascoltato la novità, del mio vescovo pastore della sua Chiesa là dove questa vive».
Il suo augurio: «Ti auguro di non stancarti di crescere e di lasciati trasformare dagli incontri e dalle esperienze anche oltre, sempre oltre!».
20 settembre 2017, una tiepida mattina a Villa Immacolata. «Ero lì – racconta Giorgio Pusceddu – per un ultimo incontro di equipe con i colleghi della Caritas diocesana. Nella pausa, scambiai con don Claudio due chiacchiere sulla scelta, maturata nei mesi precedenti, di spostarmi nell’ufficio di Pastorale dei giovani. Non ricordo esattamente le parole, ma ho ben chiaro le sensazioni provate: espressi la fatica di lasciare relazioni e progetti in ambito Caritas che mi avevano regalato molto e che promettevano un cammino ancora ricco, ma allo stesso tempo colsi l’invito a lanciarmi con coraggio in una nuova avventura tosta e affascinante. Quello scambio sigillò l’inizio del mio servizio nella Pastorale dei giovani. Ancora oggi i miei figli non sanno descrivere bene quale sia il lavoro del papà, ma di una cosa sono testimoni: quel che faccio continua a sorprendermi e ad entusiasmarmi».
«A dieci anni dal suo ingresso a Padova, rivolgo un pensiero di ringraziamento al vescovo Claudio per gli incroci in cui la mia vita si è intrecciata con alcune delle sue scelte e intuizioni (Sinodo dei Giovani, Sinodo diocesano…). E mi permetto di augurargli tre cose: di conservare vivace quell’audacia sagace che sa provocare e smuovere; di continuare a credere che il cambiamento (in meglio) sia possibile; di far tesoro dell’esperienza che allena l’umiltà senza spegnerla nella tiepida accettazione dello status quo. Siamo in cammino, non in un’oasi, andiamo avanti insieme a camminare».
Nella prima intervista rilasciata alla Difesa, appena dopo la nomina, l’allora direttore Guglielmo Frezza chiedeva a don Claudio Cipolla come aveva saputo della nomina. «Ero in montagna. Arrivato in rifugio ricevo la chiamata da Roma e la richiesta di passare in Nunziatura. Lì ho capito cosa stava succedendo: d’altronde, cosa mai avrebbero potuto volere da un semplice prete come me? Sono sceso a Roma carico di dubbi e obiezioni: perché proprio io, ma siete sicuri che possa farlo, ma davvero non c’è un candidato migliore… Poi tutto si è risolto in poche parole: “Se non ha gravi ragioni personali, private, che noi non conosciamo circa idoneità – mi è stato detto – non c’è ragione di discutere. In fondo non spetta a lei decidere, lo ha voluto il papa”. Ecco, arrivo a Padova perché non dipende da me scegliere, perché c’è solo da fidarsi e da affidarsi».
I dieci anni di episcopato del vescovo Claudio Cipolla a Padova rappresentano un decennio assai intenso per la vita pastorale della nostra Chiesa. I due Sinodi, i due Giubilei (di cui l’attuale in corso), la dura prova della pandemia da Covid-19, i numerosi preti padovani divenuti a loro volta vescovi in altre Chiese in Italia e all’estero, ben cinque dal 2016 a oggi.
Sono anni di veloci trasformazioni nella società e nella Chiesa, in cui il vescovo Claudio continua a interrogare collaboratori e fedeli, preti e laici: quale Chiesa per questo tempo? Quale linguaggio per annunciare il Vangelo oggi? Il suo è un ministero da pastore di fronte a sfide epocali, da affrontare tutti insieme. Dopo questo anniversario importante, l’augurio e la preghiera perché il cammino proceda sempre con lo sguardo a Dio. (Lu. Bo.)