La scuola, in questo tempo di profondi mutamenti e sfide, non ha le armi spuntate. Questo il messaggio emerso dall’incontro “Il disagio dei ragazzi e le risposte della scuola”, organizzato dalla Fondazione Girolamo Bortignon, che si è svolto il 15 ottobre presso la biblioteca del Centro di studi Filippo Franceschi a Padova, e ha visto la partecipazione di numerosi dirigenti scolastici del territorio della Diocesi. A intervenire sono stati ,tra gli altri, il vescovo Claudio Cipolla e Alberto Pellai, medico, psicoterapeuta dell’età evolutiva e autore di numerosi libri sulla genitorialità, l’adolescenza e la prevenzione del disagio giovanile.
Il vescovo Cipolla è intervenuto riferendosi al passo letto all’inizio del pomeriggio, tratto dalla costituzione pastorale Gaudium et Spes del Concilio Vaticano II. Nel testo «le parole luce, vita e libertà sono bellissime. Luce, come quella che vediamo negli occhi dei bambini o dei ragazzi: esprime un desiderio, fiducia e la voglia di vivere» ha ha evidenziato come «siamo chiamati a infondere luce nelle persone che incontriamo». Poi le parole “vita e libertà”: «Siamo al servizio dell’educazione dei giovani, della maturazione delle persone. E il cristianesimo si mette a disposizione dell’umanizzazione, per aiutare ad essere vivi, liberi e capaci di essere illuminati».
Alberto Pellai ha aperto il suo intervento constatando che «la scuola rimane l’ultimo presidio davvero interessato ad aiutare i ragazzi a coltivare la mente come un giardino di cui avere cura». Secondo lo studioso la crescita è il tempo del desiderio: «L’adolescenza non si compie più nell’obbedienza al mondo adulto, ma nella costruzione autonoma del proprio progetto di vita. È il periodo in cui ciascuno cerca di “individuarsi”, di dare forma a un “me stesso” che corrisponda a ciò che desidera diventare». Ha puntualizzato che crescere è un movimento in quattro direzioni: da dentro a fuori, dalla protezione all’esplorazione, dalla dipendenza all’autonomia e dall’io al noi. «Oggi la dinamica “da dentro a fuori” sembra essersi interrotta. Sempre più ragazzi rimangono chiusi nelle loro stanze, rinunciando a uscire nel mondo. In passato il castigo era: “Vai in camera tua e non uscire”; oggi è: “Esci da quella stanza”», ha osservato. È cambiato il paradigma: l’adolescente non sceglie più di esplorare e, bloccando il passaggio “da dentro a fuori”, si ferma anche il cammino verso l’autonomia e la relazione. Il terapeuta ha parlato di una vera e propria «cultura della fragilità», nata dal bisogno degli adulti di proteggere sé stessi più che i figli. «Il genitore di oggi non tollera l’ansia legata al rischio di crescere del figlio, così rallenta il passaggio all’età adulta e impedisce il movimento dall’io al noi, fondamentale per diventare parte di una comunità».
A questa fragilità contribuisce anche il mondo digitale: «Per trent’anni, dal 1980 al 2010, gli indicatori di salute mentale giovanile sono rimasti stabili. Poi con la diffusione degli smartphone connessi a Internet, si è registrata un’impennata di ansia, depressione e isolamento. Dal 2011 l’adolescente vive in due mondi: quello reale e quello virtuale. Ma il secondo è più facile, meno faticoso, più controllabile. È il luogo della gratificazione immediata, dove basta un clic per eliminare chi non sa stare in relazione con lui». Il risultato è una generazione che ha rinunciato all’“effetto Mustang”, la naturale energia esplosiva e il desiderio di libertà tipici degli adolescenti, scegliendo invece il rifugio della propria stanza. «Lì si costruisce un senso di efficacia illusorio, mentre la vita reale richiede fatica, resilienza e relazioni vere. C’è il rischio di un’immaturità cognitiva crescente, aggravata dal fatto che il cervello adolescenziale, pur potente sul piano emotivo, è ancora lento nel controllo e nella valutazione. C’è una sfasatura tra il funzionamento emotivo e quello cognitivo che invece è rallentato».
Da cui la funzione dell’adulto, importantissima: «Siamo in un mondo, quello online, che è tutta eccitazione con zero transenne. La comunità educante, con adulti autorevoli, è chiamata a dare un direzionamento, a canalizzare l’energia emotiva del preadolescente che è esplosiva, potentissima, senza spegnerla. Servono delle transenne che aiutino in questo».
L’esperto ha quindi messo in evidenza l’importanza di una scuola smartphone free. «Questa scelta parte dal fatto che ricerche scientifiche basate sulle neuroscienze, mettono in evidenza come l’uso eccessivo del digitale ha conseguenze deleterie: causa deprivazione sociale e del sonno, indebolimento cognitivo e dipendenza. Per troppi il dispositivo è diventato un pezzo del loro corpo e del cervello». Lo studioso ha sostenuto che nei paesi nordeuropei, dove anche lì le scuole hanno vietato gli smartphone, il rendimento medio degli alunni è aumentato del 20-40 per cento. «Le norme – ha affermato –, non sono divieti che tolgono, ma strumenti che permettono di crescere. E la scuola, anche se meno attraente del “Paese dei balocchi”, resta il luogo dove la mente e il desiderio dei ragazzi possono davvero imparare a fiorire».