Idee | Lettera.D
Ipertecnologici, immersi nell’ambiente digitale, versatili, creativi e ambiziosi: così appare la Generazione Alpha, a cui appartiene chi è cresciuto completamente immerso nell’era digitale. Figli di un tempo in rapidissima evoluzione, i bambini e i ragazzi dei nostri giorni sembrano poter affrontare il futuro con molti più strumenti e skills dei loro predecessori. Eppure, si rivelano anche molto fragili. Recenti fatti di cronaca hanno mostrato la loro fatica – soprattutto nell’età adolescenziale – ad avere un profilo etico adeguato al mondo ipercomplesso in cui vivono. Un esempio fra tutti può essere una gestione non corretta della rabbia che porta a comportamenti come l’uso del linguaggio violento, il cyber-bullismo o la stessa violenza fisica. A volte sembra che il mondo degli adulti abbia rinunciato a dare loro una formazione etica adeguata. Ma è davvero così? È ancora possibile educare i nostri bambini e ragazzi a scegliere il bene?
La risposta affermativa a questa domanda nasce dalla consapevolezza che la tensione verso il bene non va mai data per scontata, come fosse una prerogativa naturalmente acquisita in ogni persona. Essa è un processo molto delicato e complesso che necessita di un esercizio fin dalla tenera età e richiede una profonda cura e una vigilanza costante. L’urgenza di spenderci nella formazione etica dei più piccoli chiede però di mettere a fuoco un’altra questione: come farlo. Proviamo a considerare tre “ingredienti” necessari per rispondere a questa domanda.
Nella trama dello sviluppo personale
Un primo aspetto riguarda la necessità di considerare il senso morale della persona da una prospettiva evolutiva. Come ci dice la psicologia – basti citare tra tutti i pilastri Jean Piaget, Lawrence Kohlberg, Carol Gilligan – la moralità è pienamente inserita nel processo di sviluppo del bambino e risente di tutte le sue caratteristiche cognitive, emotive, corporee. Così se a 3-4 anni le regole sono un confine necessario per far cogliere i “sì” e i “no”, crescendo esse sono destinate a scomparire, perché il bambino inizia a cogliere il senso del rispetto di una regola al di là della compiacenza verso l’adulto (premio-punizione), ne comprende le motivazioni, le interiorizza e si autoregola. Tutto questo avviene sviluppando anche una sintonizzazione emotiva che dà spazio a scelte etiche capaci di prendersi cura dell’altro. L’adulto deve perciò imparare a creare contesti in cui dare ragione delle norme morali, lasciando intravedere i valori che esse custodiscono e la loro forza attrattiva. Il bene si sceglie perché attrae, non perché è un dovere!
Affinamento progressivo della coscienza
Proprio perché l’educazione etica non può limitarsi solo a far conoscere delle norme – seppur necessarie – ma deve consentire la comprensione e l’interiorizzazione dei valori e delle esigenze morali, essa deve fondarsi ed esprimersi come formazione della coscienza. Tutti abbiamo sperimentato, almeno una volta, la capacità dei bambini di saper riconoscere anche autonomamente il bene da farsi in una determinata situazione. Questa propensione innata va affinata e resa col tempo più robusta. Formare la coscienza è ben più che far conoscere teoricamente i buoni principi. Significa costruire attorno al bambino un clima educativo nel quale affinare la capacità di ascoltare la propria interiorità e rileggere i propri vissuti, sperimentare l’esercizio della libertà nel rispetto dell’altro, imparare a decidere facendo spazio all’altro/Altro. In poche parole, si tratta di abilitarli a saper stare nelle proprie esperienze maturando l’attitudine al discernimento, il vero “lavoro” della coscienza.
L’ortopatia morale
Se la formazione etica non può confinarsi in una mera trasmissione di contenuti, essa deve educare a “sentire in modo giusto”, imparando a riconoscere il proprio mondo emotivo per poterlo regolare. Le neuroscienze ci insegnano il compito primario delle emozioni nell’atto del decidere e diversi studi affermano che molti dei comportamenti disfunzionali degli adolescenti (e ahimé anche di molti adulti!) derivano da un analfabetismo emotivo. Educare a “sentire (il) bene” è il primo passo per aiutare i piccoli ad assumere il punto di vista dell’altro, ad ascoltare e accogliere i suoi bisogni e posizioni, a decentrarsi. Tutto questo per imparare ad «avere gli stessi sentimenti che furono di Cristo Gesù» (Fil 2,5), orizzonte di ogni percorso di educazione morale e vero anticorpo per fare la differenza in un mondo esasperato dall’individualismo e dal narcisismo di tanti, troppi.
Ma ricordiamo: educare al bene dipende molto da noi adulti. Dal modo con cui gestiamo le nostre scelte o, ad esempio, parliamo loro di Dio, della questione del male, del peccato e del perdono, della cura, dipende molto dal percepire la vita morale come dovere o come scelta per il bene. A noi il compito di raccogliere questa sfida!