All’inizio la loro era una piccola storia, vissuta in un piccolo paesino. Oggi la raccontano un libro, le cronache della nostra Repubblica e un film. È la storia della famiglia Piccoli e di una malattia che condividono in tanti: sono infatti quasi 600mila le persone colpite dall’Alzheimer in Italia. Una malattia che coinvolge e travolge altrettante famiglie. Chi ne è affetto comincia a perdere pezzi di memoria e di sé e, più ne perde, più ha bisogno di aiuto e assistenza per ogni momento della giornata. A guardarla da vicino, però, questa storia tanto comune non è.
Il malato è Paolo: nel 2016, quando arriva la diagnosi, ha 43 anni, una giovane moglie e due bambini, Mattia, nato nel 2009, e Andrea, nel 2012. Tutto comincia con cambiamenti che la moglie non si spiega: l’umore ballerino, le dimenticanze, un carattere che cambia, una tensione che cresce. Poi, violenta e infausta, arriva la diagnosi e la consapevolezza, in lui e in lei, del cammino che li aspetta. L’Alzheimer tutto cambia: niente va più bene, a partire dall’appartamentino scelto per la loro vita insieme, uno spazio inadeguato già alla nascita del secondo figlio e ora sempre più inadeguato per quella scala dritta che porta fino al primo piano, troppo impervia per i giorni che verranno. Ci sono più motivi che ci portano a guardare questa storia: innanzitutto avviene tra noi, tra Villanova di Fossalta (dove si trovano i Piccoli alla diagnosi) e Concordia Sagittaria (dove i genitori di lui procurano loro una casa più adatta alla nuova situazione).
Nel 2020 la storia è diventata libro, “Un tempo piccolo” (Gemma editore), grazie a Serenella Antoniazzi, autrice ugualmente “di casa”, imprenditrice nota per il libro “Io non voglio fallire” (2015, edito da Nuova Dimensione), scritto nei giorni della crisi post 2008. Non solo: pur se bambino, del papà si occupa moltissimo il primogenito Mattia, che lo aiuta nelle incombenze quotidiane – igiene, barba, vestirsi e mangiare – con una dedizione che commuove. Tanto encomiabile che la sua storia arriva fino al Quirinale e nel 2021 il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, lo nomina Alfiere della Repubblica “per l’amore e la cura con cui segue quotidianamente la malattia del padre e lo aiuta a contrastarla”.
Questa piccola, straordinaria storia ha dato un altro frutto: un film, presentato la sera del 17 ottobre in anteprima nazionale alla 20ª Festa del Cinema di Roma, con la presenza del cast, del regista e della famiglia Piccoli, ma senza Paolo, da tempo ricoverato in una Rsa. In questi giorni questa storia sta girando nelle sale cinematografiche locali e nazionali, grazie a “Per te”, diretto da Alessandro Aronadio, interpretato da Edoardo Leo nei panni di Paolo e da Javier Francesco Leoni in quelli di Mattia.
Questa storia ci insegna tante cose che potremmo definire la vita e il suo senso. Ci insegna che una malattia devastante come l’Alzheimer può arrivare a età che riteniamo impensabili; che certe diagnosi moltiplicano i bisogni, le spese, la necessità di cure e che troppe volte le famiglie sono lasciate sole nella tempesta del fare e del dolore, mentre la quotidianità sognata e costruita viene irrimediabilmente infranta. In questa vicenda, come in tutte quelle analoghe, ci sono molte luci e altrettante ombre: la durezza della malattia, lo scontrarsi contro i muri di gomma per ottenere ore di fisioterapia da elemosinare o per accedere a centri specifici di riabilitazione che potrebbero fare la differenza ma sono troppo lontani per chi ha due figli ancora bambini da crescere, un marito malato e una casa da gestire. C’è anche un matrimonio che si trasforma in altro: un percorso che si fa tremendo come il non poter più ricevere uno sguardo di tenerezza dalla persona scelta per sempre, quando l’amore si fa non più ricambiato e ricambiabile, neanche comunicabile, rubato dagli affetti di una malattia che trasforma l’altro e la vita a due in una missione ma anche, nello sconforto delle giornate più buie, in prigione.
E allora, cercando di salvare le luci che pure ci furono, si conservano foto e parole, finché parole ci sono: momenti da tenere a mente come pietre preziose incastonate in quella corona di spine che la malattia, spietata, porta e comporta. Mentre tutto traballa, il motore che fa camminare è l’amore, ma la strada dei sogni e dei progetti si va facendo, giorno dopo giorno, una via crucis. Nell’interpretare la storia di Paolo, l’attore Edoardo Leo ha scelto di incontrare la famiglia Piccoli solo a riprese ultimate. Ha raccontato di aver vissuto qualcosa di simile con la nonna, mancata a 55 anni per le complicazioni dell’Alzheimer. Per questo ha cercato di fare di quella piccola storia una storia dal valore universale.
Nel libro citato c’è una paginetta firmata da Paolo in cui lo stesso mette nero su bianco la sua tragica consapevolezza: “Cambio. Chi mi sta vicino fa fatica a starmi dietro… Ho perso tutta la mia vita”. E ce n’è un’altra firmata da Michela in cui, oltre ai ringraziamenti per tutti coloro che si sono spesi e prodigati nell’aiutarli, scrive: “Grazie a chi, nell’ombra e nell’anonimato, ci manda messaggi di sostegno e di solidarietà che assumono un valore inestimabile e sono un vero balsamo per le nostre anime bisognose”. Se raccontiamo questa storia è proprio per queste sue parole: ci fanno comprendere che voltarsi dall’altra parte è un lusso indecente. E che, anche quando non siamo in grado di aiutare un malato e la sua famiglia, possiamo però – come chiede incessantemente Michela – sostenere la ricerca, nella meravigliosa speranza che arrivi il giorno in cui non ci saranno più queste piccole storie da raccontare.