Idee
Fino a oggi bastava un clic su una casella: “Ho più di 18 anni”. Una formalità, varco simbolico che non fermava nessuno, tantomeno un minore. Dal 12 novembre, in teoria, il meccanismo è cambiato radicalmente; per accedere a siti con contenuti per adulti non è più sufficiente l’autodichiarazione: serve una certificazione dell’età tramite un sistema di verifica esterno accreditato, chiamato a garantire che l’utente sia effettivamente maggiorenne.
Sulla carta, una svolta. Nei fatti, un percorso che si apre tra luci e zone d’ombra. Restano, infatti, incertezze sull’efficacia reale del sistema, a partire da due nodi sensibili: la tutela della privacy e la possibilità concreta che il filtro venga aggirato con strumenti ormai facilmente reperibili, che permettano per esempio di mascherare la propria posizione geografica e accedere a reti esterne ai confini nazionali.
Perché proprio qui sta il problema strutturale: internet non ha frontiere, e questa sua natura transnazionale ha sempre reso complicata – e spesso inefficace – qualsiasi regolamentazione statale. Eppure, nonostante i limiti evidenti, il cambio di paradigma segna un primo passo che merita attenzione.
Finora, di fatto, non esisteva alcun controllo reale sull’accesso a contenuti pornografici o comunque inadatti ai minori. Contenuti che, nell’epoca degli smartphone onnipresenti, non riguardano più solo gli adolescenti: finiscono nelle mani dei bambini, sempre più spesso dotati di telefono già dalle prime classi della scuola primaria.
L’Italia, applicando una direttiva europea, prova ora a mettere un argine in un territorio sterminato e poroso. Un gesto regolatorio, imperfetto ma necessario, che apre una domanda più ampia: può la legge, da sola, governare un mondo digitale che corre più veloce degli Stati?
«Sono assolutamente favorevole alla verifica dell’età. Nel mio lavoro incontro molti adolescenti con diverse problematiche e negli anni ho visto un deterioramento del disagio». Marisa Galbussera, psicoanalista e presidente del Centro Italiano Femminile (Cif) di Padova, dove è responsabile clinica del consultorio, legge così la stretta sull’accesso ai siti pornografici: un atto dovuto, ma solo un primo argine. «È la stessa curva che vediamo nelle dipendenze da social o nel ritiro sociale estremo, come gli hikikomori. In quarant’anni ho visto tra i pazienti lo spostamento verso un godimento esclusivamente autoerotico, che chiude fuori l’altro. Senza l’altro però non c’è dialettica, non c’è relazione».
Per molti adolescenti e preadolescenti la scena si ripete: «Ore e ore in camera, computer e telefono, chiusura progressiva. Come monaci metropolitani ritirati nel proprio eremo». Per questo, spiega, «tutto ciò che limita l’accesso dei minorenni a internet è positivo. A maggior ragione per la pornografia, e forse bisognerebbe parlarne anche per i social. Oggi non c’è più un rito iniziatico, un lento apprendimento del rapporto con l’altro: la sessualità si impara sulle piattaforme».
Galbussera sottolinea il punto decisivo: «La sessualità è bellissima, per Sigmund Freud segna il conseguimento della piena maturità nell’essere umano; oggi però se ne parla sempre meno come relazione e sempre più come esposizione. Ragazze adolescenti o poco più mi raccontano che dopo aver conosciuto un ragazzo, nel giro di poche ore si ritrovano in chat richieste di foto e video intimi. Non c’è più il bacio, l’incontro, l’erotismo come desiderio e scoperta. Il corpo diventa oggetto, merce, mentre invece l’erotismo è velo, allusione, immaginazione che si accende. Il p***o non è erotismo: spesso è grafica della perversione».
Per la psicoanalista il giudizio non è morale ma clinico: «In psicoanalisi parliamo ancora di perversione come struttura del disagio, non come giudizio. Per questo un bambino o un adolescente ha bisogno di essere protetto da immagini che non ha ancora strumenti per elaborare. Altrimenti le subisce, e rischiano di diventano traumi silenziosi».
Per questo, per Galbussera, l’educazione sessuale a scuola resta uno strumento utile: «Toglierla sarebbe un errore. Certo, può essere fatta bene o malissimo. Se la riduci all’aspetto tecnico, alla spiegazione dell’orgasmo o delle malattie sessualmente trasmissibili, non stai educando. È come fare prevenzione sulle droghe rischiando solo di indurre curiosità. I ragazzi non hanno bisogno di informazioni crude, ma di parole che diano forma all’affettività, che spieghino che l’altro non è un oggetto, che il desiderio non è consumo. Se non lo fai tu, lo faranno i siti p***o o le chiacchiere da spogliatoio». I rischi ormai emergono netti in consultorio: «Dipendenze sessuali, nei ragazzi ma anche nelle coppie che, per esempio, praticano scambismo non per desiderio ma per saturazione. Ragazzini esposti a scene che li spaventano, da cui alcuni si difendono chiudendo del tutto l’accesso alla sessualità. Altri, invece, non riescono più a maturare una sessualità appagante».
Quali gli anticorpi? Galbussera indica tre luoghi. «La famiglia, prima di tutto: non spiegazioni tecniche, ma esempio quotidiano di rispetto, affetto non ostentato, limiti chiari. Un clima relazionale in cui la sessualità sia parte dell’identità, non merce». Poi la scuola: «L’insegnante è fondamentale, è un adulto terzo. I ragazzi non ascoltano i genitori sul sesso – ed è normale, l’adolescente deve separarsi da loro – ma possono ascoltare un adulto credibile che parli con delicatezza, senza invadere, ricordando che il corpo non va mai mercificato». Infine, la comunità: «Associazioni, consultori, dialoghi reali. Noi andiamo nelle scuole, incontriamo fragilità enormi. Dopo la pandemia la solitudine è esplosa: i giovani hanno la vita davanti, ma rischiano di chiudersi sempre. Più restano soli, più si spaventano».
Il punto, insiste, è antropologico prima che digitale: «La sessualità umana ha bisogno di essere custodita, altrimenti scivola nella perversione o nel gelo. Parlarne è indispensabile, ma con parole e tempi giusti». Perché la vera tutela non è il filtro o, peggio ancora, la censura. È la relazione.
Dal 12 novembre i siti p***o accessibili dall’Italia devono introdurre un vero sistema di verifica dell’età, che certifichi in modo anonimo la maggiore età degli utenti. Per entrare, serve una certificazione rilasciata da soggetti terzi accreditati – come un’azienda, una banca o un operatore telefonico, che possiedono già queste informazioni– che forniscono un codice anonimo al posto dei dati personali. La misura, annunciata da Agcom in applicazione di una direttiva del governo Meloni (il cosiddetto Decreto Caivano) e del Digital Services Act europeo, coinvolge inizialmente 48 siti, tra cui Pornhub, YouPorn e OnlyFans. L’obiettivo è impedire l’accesso ai minori a contenuti per adulti, restano tuttavia dubbi sull’efficacia e sulla reale attuazione, che dev’essere ripetuta a ogni accesso e potrebbe essere aggirato con navigazione anonima, Vpn o reti estere.