Fatti
Con il voto in Veneto, Campania e Puglia si conclude la robusta tornata autunnale di elezioni regionali. L’appuntamento avrebbe già in sé una notevole rilevanza non solo locale in virtù del numero di cittadini interessati, data la consistenza demografica delle tre Regioni, ma assume uno specifico spessore e una portata più ampia per il ricambio al vertice che avverrà a prescindere dal responso delle urne. Per il divieto del terzo mandato consecutivo, infatti, usciranno comunque di scena tre personalità che hanno condizionato gli assetti dei rispettivi schieramenti e hanno tenuto testa fino alla fine alle leadership nazionali. Nomi ben noti anche al di là dei territori in cui hanno operato: Luca Zaia, Vincenzo De Luca e Michele Emiliano. Il loro percorso dopo le elezioni, dentro e fuori gli schieramenti di provenienza, è non da ora oggetto di ragionamenti e di pronostici. Molto dipenderà dall’esito del voto e dalla capacità che ciascuno di essi dimostrerà di avere, direttamente o indirettamente, nell’aggregazione del consenso.
E’ una strana tornata elettorale, quella che si prospetta. Se da un lato i riflettori sono puntati, come si diceva, su coloro che lasciano, dall’altro i leader di partito e gli analisti sembrano concentrati su quello che le urne diranno circa gli equilibri all’interno delle coalizioni, piuttosto che sulle sfide tra i poli. In Veneto, per esempio, è conclamata la competizione tra la Lega, nel suo storico insediamento, e Fratelli d’Italia, che con Giorgia Meloni ha accresciuto macroscopicamente i propri consensi al Nord e chiede spazio. In Campania, altro esempio, è l’alleanza tra Pd e M5S alla prova del voto, ma anche la tenuta dei cinquestelle, che esprimono il candidato presidente dopo il lungo “regno” di De Luca. Un passaggio tutt’altro che indolore. Ma tutto considerato e tenuto conto che in Puglia il “campo largo” candida un popolarissimo ex-sindaco di Bari, il risultato complessivo appare in linea con la situazione esistente, almeno stando ai sondaggi. Così che anche mettendo nel conto i risultati delle regioni in cui si è votato tra settembre e ottobre, vale a dire Toscana, Marche e Calabria (in Valle d’Aosta non c’è l’elezione diretta del presidente), il confronto tra le vittorie delle coalizioni potrebbe non registrare cambiamenti rispetto al presente. Questo però lo sapremo solo al termine dello scrutinio.
La sorpresa che tutti invece dovrebbero augurarsi, al di là delle opinioni che ciascuno ha il diritto di avere, è un cambio di passo nell’affluenza alle urne. Viviamo “in un momento di preoccupante flessione dell’esercizio del voto”, ha ricordato proprio in questi giorni il Presidente della Repubblica, parlando all’associazione dei Comuni, e “non possiamo accontentarci di una democrazia a bassa intensità”. Il paradosso è che proprio in questi mesi si discute in Parlamento di come cambiare la legge per l’elezione dei sindaci, che pure ha dato in trent’anni un’ottima prova di sé. Non sappiamo se il capo dello Stato si riferisse a questo iter quando, sempre parlando all’Anci, ha sottolineato che la flessione dell’affluenza “non potrebbe in alcun modo essere colmata da meccanismi tecnici, che potrebbero anche aggravarla”. Ma di sicuro è un’illusione affidarsi a scorciatoie formali. “La rappresentatività è un’altra cosa e va perseguita e coltivata con grande determinazione”, ha detto Sergio Mattarella, e “la riduzione dell’affluenza alle urne è una sfida per chi crede nel valore della partecipazione democratica dei cittadini”. A cominciare dal prossimo voto.