Storie
Nel loro bagaglio il ricordo di un pellegrinaggio vissuto 50 anni fa, nel 1975, anno giubilare indetto da papa Paolo VI, quando avevano 16-17 anni, ma anche la voglia di rivivere un’esperienza forte, ancora una volta in occasione di un Anno santo.
È con questi intenti che da Noventa Padovana il 1° novembre, un gruppo di 32 pellegrini over 60 sono partiti per raggiungere Roma. «Volevamo ricordare e rivivere l’esperienza vissuta da giovanissimi – racconta Giuseppe Paviola, anima del gruppo di pellegrini, sindaco di Noventa Padovana dal 2001 al 2011 – Allora eravamo un gruppetto di tredici ragazzi, solo maschi, e ci eravamo recati a Roma in bicicletta. Oggi invece il gruppo si è allargato, di quei tredici ne sono partiti otto e si sono aggiunte le mogli e altre coppie di amici. Alcuni hanno raggiunto Roma percorrendo a piedi un tratto della via Francigena, altri invece con il pullman. Al gruppo si è aggiunto padre Giancarlo Paris, il superiore dei frati del Villaggio Sant’Antonio che ha condiviso il percorso con i partecipanti in pullman».
Vivo nel cuore di chi aveva partecipato nel 1975 il ricordo di quell’esperienza lontana, rimarcato anche in una lettera testamento del loro assistente spirituale di allora, il giovane sacerdote don Giancarlo Broetto, una lettera a tratti profetica che aveva indirizzato loro qualche settimana prima di morire, dopo una rapida e aggressiva malattia, e nella quale richiamava proprio l’esperienza del pellegrinaggio a Roma, augurandosi che poi un giorno si sarebbe ripetuta con le mogli e i figli.
«Dopo 50 anni siamo cambiati – afferma Roberto Granziero – anche spiritualmente, abbiamo fatto cammini diversi, esperienze. Ma lì, a Roma, ho ritrovato l’unione dei ragazzini. Abbiamo cercato lo stesso scopo, vivere cioè un’esperienza che ti muovesse dentro qualcosa, ti animasse. L’immagine che ho colto e che mi ha lasciato una forte emozione è che siamo passati tutti per la Porta santa, la Chiesa ci ha accolto tutti».
Se 50 anni fa fu scelta la bicicletta, questa volta il gruppo ha optato per il cammino, un genere di fatica affrontabile dalla maggior parte dei partecipanti, «ma anche perché il cammino è la modalità adatta alla riflessione, all’abbandono delle abitudini consolidate, alla riscoperta dentro di sé di gesti semplici e autentici», spiega Paviola.
Cinque giorni di cammino sulla via Francigena, tre giorni a Roma per le celebrazioni giubilari: un programma denso, elaborato su misura dal gruppo e per il gruppo, con momenti di preghiera prima del cammino quotidiano e condivisioni serali, con testimonianze e incontri di speranza vissuta. Un cammino che è iniziato un anno prima, con una intensa preparazione fatta di dieci incontri, per ogni appuntamento veniva lasciato anche un segno. Il tutto riassunto su un libretto-diario, edito per l’occasione.
A contraddistinguere il gruppo, definito da una suora incontrata a Roma «un gruppo di vecchi che si vogliono bene», anche un fazzoletto, creato proprio per l’occasione, con la colomba della pace e i colori dell’arcobaleno.
«Ci siamo sentiti tutti coinvolti – racconta Antonella Destro, moglie di Roberto – anche nella preparazione. Il ritorno dell’esperienza l’ho percepito poi, una volta a casa: il durante, il cammino, è stato come uno svuotarmi che poi si è riempito da sé di parole, incontri, paesaggi, condivisione». «Il gruppo è stato importante – aggiunge Stefania Rampazzo – ti sostiene, ti aiuta. Io non ho fatto il cammino, ma l’ho ugualmente vissuto, mi sentivo comunque parte di quel gruppo e poi grande è stata l’emozione di riunirci tutti a Roma. Una frase che mi ha accompagnata è stata: “Come semi del terreno gli incontri porteranno germogli di speranza”. Una frase che ho vissuto appieno in questa esperienza».
Sono stati giorni intensi, ricchi anche di incontri: all’arrivo a Roma, dopo più di 120 chilometri a piedi, c’era ad aspettarli a Porta Sant’Anna mons. Giovanni Vaccarotto, amico di vecchia data del gruppo noventano e canonico della basilica vaticana, che li ha accompagnati nella chiesetta di San Pellegrino, il luogo dove, già nel medioevo, i pellegrini francigeni sostavano per ringraziare il Signore di aver raggiunto la meta. Poi il passaggio della Porta Santa, le visite alla basilica di San Pietro e di San Giovanni in Laterano, accompagnati da una suora, missionaria della Divina Rivelazione. E ancora l’incontro con alcuni rappresentanti della Comunità di Sant’Egidio, nella sede storica in Trastevere, dove il gruppo si è confrontato sui temi delle fragilità umane e dell’inclusione, della pace e del dialogo nelle diversità, concluso poi con la preghiera serale della Comunità, nella basilica di Santa Maria in Trastevere.
«50 anni fa eravamo molto uniti – sostiene Roberto Ruvoletto – facevamo parte dell’Azione cattolica, avevamo i nostri animatori, don Giancarlo Broetto. Le condizioni di partenza erano quindi molto buone. Adesso invece eravamo un po’ più “sparsi”, ma alla fine le mie perplessità iniziali si sono volatilizzate e quando da Monte Mario ho visto la cupola mi sono commosso». «Avevo molti timori, soprattutto per il poco allenamento – confida Franca Marchi – invece ho trovato la forza nel gruppo: al mattino, nella prima mezz’ora di cammino e di silenzio, mi soffermavo su ogni persona e rivedevo in ognuno di loro un angelo. Ognuno di noi è espressione dello Spirito Santo e in questa esperienza lo abbiamo concretizzato, chi con la fede, chi nel contatto con il creato, chi nell’aiutare l’altro».
Le parole che ora, al ritorno da questa intensa esperienza, risuonano nel gruppo sono tante: da “fede” «quella cosa che – per Roberto Granziero – ti fa stare bene, ti dà gratitudine, ti cambia l’animo», ad “accoglienza” («Mi sono sentito accolto nel gruppo, fin da subito – afferma padre Giancarlo Paris – un’accoglienza che si è aperta anche ad altre persone incontrate lungo il cammino e nelle tappe a Roma»), da “gratitudine”, al Signore e dello stare insieme come sottolinea Paviola, a “scoperta” che per Roberto Ruvoletto è stata scoperta di cose nuove, di fragilità e fatiche personali, ma anche scoperta di energia, di luoghi e di persone, «Ho capito – evidenzia – che è davvero importante farsi piccolo piccolo per scoprire tutte queste cose. Questo ti permette di rendere grazie a Dio».
L’esperienza giubilare si è conclusa domenica 9 novembre, «con soddisfazione unanime e gratificata dal saluto di papa Leone XIV, dopo l’Angelus in piazza San Pietro. Partiti per essere pellegrini di speranza, ognuno, a modo suo, si è messo nella prospettiva di ritornare a casa per essere “seme di speranza”, nei luoghi della propria quotidianità», conclude Giuseppe Paviola.
«Ho seguito il gruppo nella fase di preparazione – afferma padre Giancarlo Paris – non ho avuto un ruolo direttivo, ama ero “ospite”, accoglievo le loro proposte curandone gli aspetti spirituali. Ho goduto dell’ospitalità di questo gruppo ed è stato un dono del Signore, come celebrare nella cripta dei papi, è stata una bella sorpresa. Hanno coltivato nel tempo quest’amicizia, hanno saputo prendersi cura l’uno dell’altro, rispettando i tempi, le fatiche. Si vedeva insomma “il volersi bene” e questa è stata una grande testimonianza di speranza».
Nella chiesetta di San Pellegrino c’è stato uno dei momenti più toccanti per il gruppo, che ha ringraziato il Padre per questa nuova arricchente esperienza e ricordato le persone che avevano avuto a fianco negli anni della giovinezza.