Chiesa
La regione di Ndop, nel Nord-Ovest del Camerun, resta una delle aree più vulnerabili del conflitto anglofono che dal 2016 attraversa il Paese. Piccoli centri segnati dalla presenza di gruppi armati, instabilità diffusa e rapimenti ricorrenti compongono il quadro entro cui si inserisce il sequestro di sei sacerdoti, cinque già liberati e uno ancora trattenuto. “La zona di Ndop, come molte altre delle regioni Nord-Ovest e Sud-Ovest, rimane estremamente pericolosa”, racconta al Sir l’arcivescovo di Bamenda, mons. Andrew Nkea Fuanya. Descrive un territorio nel quale “persistono numerosi gruppi armati disseminati in quasi tutti i villaggi, e questo rende la vita quotidiana molto difficile”.
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Il sequestro, spiega, è stato compiuto da un leader separatista noto come Ndiva: “Sta chiedendo un riscatto, ma non posso pagarlo”.
Intanto le comunità cercano di aiutare i sacerdoti offrendo generi alimentari, pur senza poterli incontrare. I presbiteri liberati hanno già ricostruito con precisione quanto accaduto. L’arcivescovo evidenzia quanto il sostegno del Papa sia decisivo in un contesto segnato da violenze poco visibili alla comunità internazionale: “Siamo particolarmente grati al Santo Padre per aver ricordato il rapimento dei nostri sacerdoti e per la sua preghiera durante l’Angelus”. Ricorda che
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La crisi del Camerun anglofono “è spesso dimenticata”, mentre nei villaggi “si contano vittime che non trovano spazio da nessuna parte”.
Per questo considera le parole del Papa un segno di vicinanza concreto: “Il fatto che scelga di parlarne pubblicamente è per noi un grande conforto. Ci fa sentire che la Chiesa non ci dimentica”.
Una linea netta sui riscatti e il coinvolgimento delle comunità
Per l’arcidiocesi di Bamenda il tema dei sequestri ha richiesto una posizione inequivocabile. “Abbiamo chiarito fin dall’inizio che non paghiamo riscatti”, sottolinea l’arcivescovo Nkea. Con circa 250 sacerdoti in diocesi, un eventuale pagamento provocherebbe una spirale di sequestri. “Se pagassimo per uno solo, i gruppi armati tornerebbero regolarmente a rapire altri preti per ottenere denaro”. La strategia pastorale si radica nella struttura sociale delle regioni anglofone, dove i miliziani provengono dagli stessi villaggi in cui vivono i ministri. Per questo il lavoro si concentra sulla responsabilizzazione delle comunità:
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“Stiamo responsabilizzando i cristiani, invitandoli a dialogare con propri parenti e conoscenti coinvolti nei gruppi armati”.
In questo scenario il rapporto con lo Stato rimane delicato. “La situazione nelle regioni anglofone è molto complessa. Coinvolgere autorità civili o forze di sicurezza nella liberazione dei sacerdoti rischierebbe di peggiorare la situazione”, rivela il vescovo. Un’interlocuzione esplicita con le strutture statali, infatti, verrebbe interpretata dai separatisti come un allineamento politico: “Se collaborassimo apertamente con le forze statali, i separatisti ci accuserebbero di stare dalla parte del governo, aggravando le tensioni”.
Dati essenziali sul conflitto anglofono
• Dal 2016 il conflitto nelle regioni Nord-Ovest e Sud-Ovest ha provocato migliaia di vittime civili.
• Oltre 1,5 milioni di persone necessitano di assistenza umanitaria e circa 580mila risultano sfollate all’interno del Paese.
• Le infrastrutture educative e sanitarie sono tra i bersagli più vulnerabili, soprattutto nei villaggi isolati.
• La mobilità rimane limitata da posti di blocco irregolari e da una rete stradale fragile.
• Le mediazioni dei leader comunitari sono spesso decisive per contenere le tensioni e favorire i rilasci.
Un ministero che continua nella fragilità
La vita pastorale procede in una condizione di incertezza permanente. “In un contesto come il nostro è molto difficile offrire garanzie di sicurezza”, osserva l’arcivescovo Nkea. Non riguarda solo i vescovi: anche parroci, religiosi e fedeli vivono sotto minaccia costante. “Non posso affermare di essere al sicuro – precisa -; lo stesso vale per i parroci, i religiosi e tutti coloro che servono nelle comunità”. Eppure la presenza ecclesiale non arretra: “Noi sacerdoti e vescovi restiamo qui per amore del nostro popolo e per fedeltà alla vocazione che abbiamo ricevuto”. Il ministero si svolge nella consapevolezza della fragilità, ma senza rinunciare al servizio:
“La verità è che esiste sempre un grave pericolo per la nostra vita. Ma continuiamo il nostro ministero perché abbiamo scelto di donare la vita a Cristo e di annunciare il Vangelo anche in circostanze estremamente difficili”.
In assenza di certezze, resta un percorso condiviso con le comunità che chiedono accompagnamento e presenza: “Continuiamo a camminare con la nostra gente, con coraggio e fiducia nel Signore”.