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Nel mondo della ricerca oncologica esiste un passaggio cruciale, spesso ignorato dal grande pubblico, in cui molte scoperte promettenti si perdono ancora prima di raggiungere i pazienti. È la cosiddetta “death valley”, la “valle della morte” della ricerca farmacologica: quel tratto di strada in cui una molecola individuata in laboratorio, teoricamente in grado di colpire un bersaglio tumorale, fatica a trasformarsi in un farmaco reale. Non è una metafora drammatica: rappresenta una delle fasi più delicate dell’innovazione terapeutica.
Ogni anno, infatti, in numerosi laboratori universitari o centri di ricerca, vengono identificate molecole che sembrano funzionare nei test in vitro o nei modelli animali. L’entusiasmo iniziale è comprensibile, ma la distanza che separa questa scoperta dall’applicazione clinica è molto più ampia di quanto si immagini. Per avanzare, un candidato farmaco deve essere prodotto con standard rigorosi, testato per la sicurezza, valutato nella fase preclinica (su modelli animali), sottoposto a sperimentazioni cliniche e infine integrato in una filiera industriale capace di produrlo su larga scala. Tutto questo richiede investimenti elevati, competenze diversificate e infrastrutture che spesso gli spin-off universitari o le piccole biotech non possiedono. Così, anche molecole promettenti rischiano di fermarsi a metà percorso.
Per affrontare questo problema, alcuni ricercatori e clinici hanno discusso nuove strategie durante la Joint International Conference 2025: Innovation in Oncology – New Drugs and the Impact of Artificial Intelligence, tenutasi di recente a Milano.
Una delle speranze più significative risiede nel ruolo crescente dell’intelligenza artificiale nella ricerca farmacologica. Tecniche avanzate di analisi dei dati e modelli predittivi permettono infatti di identificare con maggiore precisione quali molecole hanno le migliori probabilità di superare tutte le fasi dello sviluppo. In altre parole, questi strumenti consentono di escludere rapidamente i candidati meno efficaci, concentrando risorse su quelli più promettenti e riducendo significativamente tempi e costi.
Accanto all’IA emerge un’altra esigenza decisiva: la costruzione di reti di collaborazione ampie, che coinvolgano ospedali, istituti di ricerca, università e industria. Solo mettendo in comune competenze, infrastrutture e dati è possibile superare gli ostacoli che ciascun attore, preso singolarmente, non sarebbe in grado di affrontare. I benefici di un simile approccio sono evidenti. In oncologia, dove la rapidità dello sviluppo terapeutico può fare la differenza tra un trattamento disponibile e uno mancato, abbreviare i tempi è essenziale. Superare la “death valley” significa aumentare la probabilità che farmaci veramente innovativi raggiungano chi ne ha bisogno, riducendo il numero di progetti abbandonati e migliorando la capacità di portare in clinica molecole efficaci anche contro tumori resistenti.
Naturalmente, restano delle sfide aperte. Le grandi aziende farmaceutiche non possono sostenere tutti i progetti in fase iniziale, e molti potenziali farmaci rischiano ancora di rimanere senza investitori. L’intelligenza artificiale, pur potente, non è esente da limiti: modelli addestrati su dati standardizzati possono non riflettere la variabilità dei pazienti reali. Inoltre, la condivisione dei dati, indispensabile per sviluppare nuove terapie, deve essere accompagnata da rigorose tutele etiche e di privacy.
L’Italia, tuttavia, possiede caratteristiche che potrebbero trasformare questa sfida in un’opportunità: centri clinici di eccellenza, una rete di fondazioni attive nel sostegno alla ricerca e una forte tradizione accademica favoriscono un ecosistema fertile per la ricerca traslazionale.
In definitiva, la “valle della morte” della ricerca oncologica non è un destino inevitabile. Con l’aiuto dell’intelligenza artificiale, con collaborazioni più solide e con una visione condivisa che unisca scienza, clinica e industria, è possibile trasformare molte scoperte ancora in attesa in terapie reali. E ogni volta che questo ponte viene attraversato, il risultato non è solo una pubblicazione o un traguardo scientifico, ma una nuova possibilità concreta per i pazienti.