Storie
Dal 7 novembre scorso il monselicense Giancarlo Bovo è iscritto all’Albo dei fedeli servitori della Diocesi di Padova, dopo essere stato insignito del titolo dal vescovo Claudio al termine della celebrazione per la solennità di san Prosdocimo. Una onorificenza che sembra non scalfire la sua quotidianità, tanto da fargli dire, un po’ burberamente: «A me i titoli non interessano». Eppure chi lo ha accompagnato a Santa Giustina dice di avere visto tanta emozione nei suoi occhi, e che le parole di ringraziamento del vescovo gli hanno riempito il cuore.
Dal carattere piuttosto schivo e solitario, il signor Giancarlo se ne sta tutto il giorno presso l’oratorio di San Giorgio sul colle della Rocca e si prende cura di quel luogo come fosse la sua dimora. Si, perché in effetti lui è nato e cresciuto in quel posto, e ci ha abitato con la sua famiglia fino al 2010. Al tempo in cui il padre era un capomastro al servizio dei conti Balbi Valier, Giancarlo Bovo abitava in una adiacenza del cortile, proprio sotto la cappella privata della villa, ovvero la chiesa di san Giorgio. Dopo il matrimonio si è spostato di poco, abitando con la moglie e le tre figlie lungo la via del Santuario delle Sette chiese, nei pressi della Porta romana. Proprio lì, dove adesso si varca una soglia giubilare e inizia il silenzio del luogo sacro; dove non arriva il rumore dei motori, ma solo quello pacato di passi lenti lungo la salita. Gli stessi che Giancarlo percorre ogni giorno, salendo ben due volte, per andarsi a riprendere quella pace di cui non potrebbe fare a meno e che è il ricordo degli anni più belli, trascorsi con gli affetti e le cose semplici: la famiglia, il suo cane, le galline e poi i cinque nipoti, che al termine della scuola trascorrevano il pomeriggio dai nonni in quel luogo privilegiato. Anche oggi che sono cresciuti sono orgogliosissimi del nonno, e nella piccola sacrestia di san Giorgio campeggia una foto in cui gli stanno intorno tutti assieme. è l’unica foto di famiglia che Giancarlo tiene con sé tutto il giorno.
Non è facile definire il suo ruolo, tra il custode e il giardiniere o il manutentore, certo è che nel tempo, una volta lasciati gli strumenti del muratore, la Società Rocca di Monselice ha trovato in lui un affidabile factotum per la cura di tutto il complesso monumentale di Villa Duodo e delle Sette Chiese. Erano opera sua le perfette geometrie del giardino all’italiana, con vialetti ortogonali e siepi di bosso, ma anche la conservazione delle parti lignee delle cappelle, come la lucidatura delle balaustre, fino al consolidamento delle strutture murarie di qualcuna delle Sette Chiese.
Una volta raggiunta la pensione Giancarlo Bovo ha dovuto lasciare quel ruolo e trasferirsi in un’altra casa, questa volta giù a valle tra la vita più vivace della città, ma ciò non gli impedisce ancora oggi, all’età di 82 anni, di fare quei due chilometri quattro volte al giorno, alla mattina e al pomeriggio, per andare ad aprire la sua chiesa di san Giorgio ai visitatori. Non vi rinuncia mai, nemmeno a Natale, Pasqua o altre festività e ormai anche le guide qualificate sanno che a Monselice il Santuario è sempre aperto, tanto da considerarla un’alternativa ai musei padovani quando sono chiusi. Percorre quel tratto di strada come ne conoscesse ogni centimetro, e tra le pietre scoscese e consumate dal tempo degli “scaloncini” dà avvertimenti ai passanti su dove appoggiare il passo: «In autunno le buche sono coperte dalle foglie – esclama – e non si vedono», facendo capire che le conosce a memoria. Scende in paese a mezzogiorno in punto, passando al chiosco dell’edicolante già pronta col giornale in mano. Ogni giorno lo legge dopo il pranzo «ma non mi soffermo troppo sulle notizie – dice – e continuo la sera perché alle 13.30 c’è da ritornare lassù». Chi lo incontra nel suo mondo non può non notare il continuo lavorìo di quest’uomo: nel suo “ufficio”, come chiama la piccola sacrestia, realizza presepi e oggetti in legno per passare il tempo. Nonostante qualche acciacco che si fa sentire se ne sta sempre in piedi, con le porte aperte anche in inverno, pronto ad accogliere tutti. A chi lo chiede sa spiegare la storia di quel posto come un libro aperto, e se vede accendersi l’interesse apre anche le ante degli armadi più nascosti per mostrare reliquiari preziosi. Particolarmente devoto a san Valentino, ha assistito alle due ricognizioni del corpo e durante tutto l’anno distribuisce le chiavette benedette per la protezione dal “mal caduco” (epilessia).
È una memoria storica vivente; custode non solo del luogo ma anche del passato che si porta dentro. Ha visto passare perfino la regina d’Inghilterra. L’unica cosa che lo fa rattristire è quando posa lo sguardo sulla boscaglia: «Un tempo questi terrazzamenti erano coltivati a ulivi e vigne e fin quando riuscivo a prendermene cura anche il giardino era ordinato – dice – ora invece regna la trascuratezza. Chissà che ne sarà dopo di me» conclude.

Giancarlo Bovo presta anche servizio di guida per i turisti insieme agli Amici della Pieve, le guide volontarie della parrocchia del Duomo che operano presso il Santuario. è partita da loro la segnalazione alla Diocesi per il riconoscimento. «Se non fosse per Giancarlo questa chiesa dovremmo tenerla chiusa – dichiara don Paolo Marzellan – gli siamo tutti grati per questo servizio prezioso».
L’oratorio di San Giorgio è stato costruito sul ricordo di una chiesetta medievale, già dedicata al santo, negli ultimi anni del 16° secolo. Opera di Vincenzo Scamozzi, è stato portato a termine dal figlio dopo la morte del padre. Fa parte del complesso della Villa dei Duodo e fungeva da cappella privata della famiglia veneziana. Verso la metà del secolo successivo, il procuratore di San Marco Alvise Duodo, vi aggiunse l’altare e il pavimento marmorei, il campanile, l’orologio e le tele dipinte. Nel 1651 vi giunsero anche i Corpi Santi e alcune reliquie provenienti dalla Chiesa di Santa Maria de Zobenigo in Venezia, dopo averli ricevuti da papa Innocenzo X in occasione del Giubileo del 1650. Da allora San Giorgio è diventata una sorta di reliquiarium ed è stata inglobata nel Santuario delle Sette Chiese, divenendo nota per la venerazione dei corpi dei martiri, esposti nell’emiciclo dietro all’altare. Tra questi anche san Valentino, per cui l’oratorio è meta di un grande afflusso il 14 febbraio, giorno in cui vengono distribuite le chiavette destinate soprattutto ai bambini.