Sindacati appannati. A fronte di gravi problemi nel mondo del lavoro, dove sono i sindacati?
La realtà parla di organizzazioni sindacali i cui iscritti sono perlopiù pensionati o lavoratori pubblici; nel privato, un po’ di sindacalizzazione resiste nelle grandi aziende e nei settori “storici”
Sono un’ottantina i contratti collettivi scaduti e che faticano a rinnovarsi. Sembra una contraddizione rispetto ad una situazione lavorativa quasi da piena occupazione: le aziende dovrebbero avere una forte attenzione a tenersi i lavoratori, vista la difficoltà a reperire personale, soprattutto quello qualificato. Eppure è così, e questo sta ingigantendo un problema solo italiano, in Europa: le retribuzioni non hanno tenuto il passo con l’inflazione. Insomma ci siamo impoveriti. Le statistiche dicono che dal 2019 ad oggi, tenendo conto di tutto, guadagniamo l’8% in meno di allora.
Non parliamo dei lavoratori “autonomi”, insomma di quel vasto mondo che non è tutelato da contratti collettivi e che le trattative le fa individualmente con la controparte. La contrattazione invece è stata l’arma che ha cambiato – soprattutto nella seconda metà del Novecento – i rapporti di forza tra lavoratori e datori, rafforzando quei sindacati che hanno rappresentato gli interessi dei primi.
Già, ma dove sono finiti quei sindacati?
La realtà parla di organizzazioni sindacali i cui iscritti sono perlopiù pensionati o lavoratori pubblici; nel privato, un po’ di sindacalizzazione resiste nelle grandi aziende e nei settori “storici”. Stop.
Al loro interno, poi, i sindacati sono divisi tra i tre “grandi” (Cgil-Cisl-Uil) e quelli “autonomi”. E pure la storica trimurti ormai da tempo va sparpagliata, con la Cgil e la Cisl che seguono direzioni spesso differenti.
La prova provata di questo forte indebolimento sindacale è data dagli scioperi generali proclamati negli ultimi anni. Un tempo bloccavano il Paese, ultimamente bloccano qualche servizio pubblico e nulla più.
Ma se i sindacati italiani hanno urgente bisogno di guardarsi sia dentro, sia in faccia, se non vogliono finire confinati sulle pagine di storia, pure la parte datoriale merita bacchettate: la cosiddetta “fuga di cervelli” (175mila in pochi anni) è anche originata da offerte economiche ridicole o inadeguate che spingono i migliori giovani a fare carriera all’estero. La mancanza ormai drammatica di certe figure lavorative dovrebbe spingere a realizzare per loro ponti d’oro, invece che nessun ponte.
Infine bacchettate sulle mani pure ad uno Stato che tartassa il lavoro con una pressione fiscale e contributiva tra le più alte al mondo. Laddove per dare cento euro netti in più in busta paga, un’azienda deve impiegarne mediamente il doppio.