Fatti
Doveva essere un doppio colpo, un “uno-due” contro la violenza sulle donne nella giornata internazionale dedicata a questo tema, con la convergenza di tutti i gruppi. Era stato preparato per bene – così sembrava – con un accordo politico tra le due leader dei maggiori partiti. Un patto tra donne, qualcuno aveva chiosato. Una delle rare occasioni in cui almeno in Parlamento si mettono da parte le contrapposizioni ideologiche ed elettoralistiche per un fine giudicato corrispondente al bene comune. Sul tavolo c’erano la legge sul femminicidio (che introduce una nuova fattispecie di reato con il massimo della pena) e quella che riforma il reato di violenza sessuale (prevedendo la necessità di un consenso libero e attuale). Entrambi i provvedimenti erano già stati approvati all’unanimità in prima lettura da un ramo del Parlamento. Poi qualcosa si è inceppato. Alla Camera il voto definitivo sul femminicidio è andato in porto, al Senato quello sulla violenza sessuale no. Nonostante il voto unanime in prima lettura. Sono stati i gruppi di maggioranza a chiedere un supplemento di riflessione.
Certo, soprattutto in campo penale è bene essere prudenti, anche se a dire il vero proprio dalla coalizione di governo sono arrivati nella prima metà della legislatura ripetuti interventi in questa materia, tanto che si è parlato non a torto di “panpenalismo”: a ogni problema sociale si risponde con un nuovo reato. E’ anche verosimile che nel giro di qualche mese anche la legge sul consenso arrivi comunque al traguardo finale. “In questa norma c’è una modifica molto profonda, che mi pare ancori gli atti sessuali al principio di libertà e dignità della persona”, ha commentato il costituzionalista Cesare Mirabelli, presidente emerito della Consulta e giurista di riconosciuta saggezza. C’è da sperare che la sostanza non venga intaccata e le modifiche (che ci saranno, se non altro per giustificare la frenata) vadano soltanto nel senso di chiarire meglio il senso delle regole scritte. Ma c’è il rischio concreto che ci si vada a sovrapporre con i tempi del referendum sulla separazione delle carriere, il che non sarebbe propriamente il miglior viatico per una soluzione bipartisan.
Al di là del caso specifico, pur di assoluta rilevanza, il punto è proprio l’incapacità, o quanto meno l’enorme fatica, che la politica manifesta quando si tratta di costruire percorsi condivisi intorno a scelte di interesse generale. Lo si vede anche nel dibattito sulle riforme che riguardano la dimensione istituzionale. Non che nel recente passato si siano raggiunti livelli di convergenza di qualche spessore, se si eccettua forse la legge per la riduzione del numero dei parlamentari. Ma in quel caso si trattava di un voto “anti”, almeno per la maggior parte degli elettori.
Il segnale dato sulla legge per il consenso agli atti sessuali resta un gran brutto segnale anche per l’opinione pubblica. Inutile stracciarsi le vesti per il dilagare dell’astensionismo se poi ci si continua a illudere che la polemica e la contrapposizione siano gli strumenti più idonei a sollecitare la partecipazione dei cittadini. Forse è vero proprio il contrario.