Fatti
Un Paese che invecchia rapidamente, si ammala di più e fatica a garantire cure e prevenzione adeguate, mentre i comportamenti a rischio avanzano tra gli adolescenti. È l’Italia fotografata dal Rapporto Osservasalute 2025, un’approfondita analisi dello stato di salute della popolazione e della qualità dell’assistenza sanitaria nelle regioni italiane presentata il 18 dicembre a Roma all’Università Cattolica. Pubblicato dall’Osservatorio nazionale sulla salute come bene comune che ha sede presso l’Ateneo, e coordinato da Walter Ricciardi (nella foto), professore di igiene generale e applicata, il Rapporto è frutto del lavoro di 138 ricercatori che operano presso università e istituzioni pubbliche nazionali, regionali e aziendali (tra cui ministero della Salute, Istat, Istituto superiore di sanità, Cnr, Aifa, Asl).
Sempre più anziani, ipertesi e soli. L’età media della popolazione, oggi pari a 46,6 anni, è destinata a salire a 50,8 nel 2050, si legge nel report, mentre cresce la solitudine degli anziani: il 40% degli over 65 vive senza una rete familiare stabile, pari a 4,4 milioni di persone, e 1,3 milioni di over 75 non ricevono un aiuto adeguato nelle attività quotidiane. Un quadro demografico che si intreccia con l’aumento delle malattie croniche, responsabili di un peggioramento significativo della qualità della vita. Il 19,1% di chi soffre di patologie croniche si dichiara insoddisfatto della propria esistenza, quasi il doppio rispetto ai coetanei sani, mentre tra gli under 44 l’insoddisfazione per la propria salute quintuplica. L’ipertensione resta la malattia più diffusa, con 11 milioni di casi, mentre artrosi, artrite e osteoporosi colpiscono soprattutto le donne, per un totale di quasi 10 milioni di persone.
Stili di vita “nordeuropei” e “bevitori” sempre più giovani. A preoccupare è anche il peggioramento degli stili di vita, soprattutto tra i giovanissimi:
il consumo di alcol inizia sempre prima, già dagli 11 anni, e in generale segue un modello “nordeuropeo” con bevute concentrate nel weekend e fuori pasto.
Il consumo occasionale è passato dal 41,2% al 48,9% in dieci anni, mentre quello fuori pasto è salito al 32,4%. Parallelamente cala l’adesione alla dieta mediterranea: solo il 18,5% degli italiani la segue davvero e appena il 5,3% consuma le cinque porzioni quotidiane di frutta e verdura. Non sorprende quindi che il 46,4% della popolazione sia in sovrappeso o obesa.
Diabete, emergenza silenziosa. Tra le patologie in crescita spicca il diabete, definito dal report una “emergenza silenziosa”. Nel biennio 2022-2023 ha interessato circa il 5% della popolazione adulta 18-69 anni, con una prevalenza che sale dal 2% sotto i 50 anni a quasi il 9% tra i 50-69. Colpisce più gli uomini (5,3%) che le donne (4,4%) e raggiunge livelli molto elevati tra le fasce socio-economiche più fragili: 16% tra chi ha bassissimo livello di istruzione e 9% tra chi vive difficoltà economiche. Il peso economico è rilevante: nel 2022 il diabete di tipo 2 ha assorbito il 15,1% della spesa per l’ospedalizzazione dei pazienti cronici, pari a 445,3 milioni di euro.
Prevenzione, cenerentola italiana. L’adesione agli screening oncologici nel 2023, si legge nell’indagine, resta inferiore ai livelli pre-pandemici e mostra un forte gradiente territoriale: il Nord registra le percentuali più alte (58-67%), seguito dal Centro (43-56%) e dal Sud e Isole (20-37%). Proprio nelle regioni centro-meridionali è più diffusa l’iniziativa spontanea allo screening, segno di un sistema ancora diseguale nell’accesso ai servizi.
Spesa famiglie: 41 miliardi. Il quadro si complica ulteriormente osservando la spesa sanitaria. Nel 2023 la spesa pubblica pro capite ha raggiunto 2.216 euro, appena lo 0,41% in più rispetto al 2022, un aumento che diventa una riduzione reale se confrontato con l’inflazione del 5,7%. La spesa sanitaria pubblica si ferma al 6,14% del Pil, ben lontana dai livelli di Paesi come Finlandia (8,2%) e Regno Unito (8,9%) e tra le più basse dell’area Ocse.
Nel 2024 la spesa complessiva per la sanità è stata di 185 miliardi di euro, di cui 137 miliardi pubblici, 41 a carico delle famiglie (out of pocket),
4,7 dalle assicurazioni private e 929 milioni dalle imprese nell’ambito degli accordi relativi al welfare aziendale, soprattutto per assistenza ambulatoriale e farmaci. Il disavanzo sanitario nazionale è salito a 1,85 miliardi nel 2023, il livello più alto dal 2012. Inoltre, aggiunge il dottor Solipaca, “La spesa sanitaria pubblica in termini reali (prezzi 2015) elaborata dall’Eurostat – sottolinea Alessandro Solipaca, segretario scientifico dell’Osservatorio – mette in luce un dato che, dal 2014 al 2019, è rimasto sostanzialmente stabile, con un aumento medio annuo dello 0,3%; nel periodo della crisi sanitaria causata dal Covid, la spesa è aumentata del 5,7% nel 2020 e del 4,3% nel 2021; tra il 2021 e il 2023 la spesa reale è diminuita complessivamente dell’8,1% (-4,4% nel 2022 e -3,9% nel 2023)”.
Emergenza salute mentale. La salute mentale rappresenta un ulteriore punto critico: l’Italia vi destina solo il 3,5% della spesa sanitaria, una delle quote più basse in Europa. La pandemia ha ridotto del 20% i ricoveri psichiatrici nel 2020, generando un “effetto ombra” di sofferenza non intercettata, mentre cresce il disagio tra i giovani.
Il consumo di antidepressivi è in aumento costante ed equivale, complessivamente, a 47,1 dosi standard ogni mille abitanti al giorno.
I ricoveri psichiatrici non sono più tornati ai livelli pre-Covid e persistono forti disuguaglianze territoriali: la fascia 18-24 anni registra i tassi più alti (40 per 10mila), con un marcato gradiente Nord-Sud. I disturbi mentali restano una sfida prioritaria per la sanità pubblica, con ampia diffusione di ansia (15-30% lifetime), depressione maggiore (10-20%), disturbo bipolare (1-2,5%) e schizofrenia (0,5-0,8%).
Da Walter Ricciardi un avvertimento: “I dati segnalano un progressivo deterioramento dell’equilibrio economico-finanziario e lo scenario futuro è discretamente preoccupante, in particolare sulla capacità del sistema di welfare di sostenere le fragilità di alcune fasce di popolazione, soprattutto quella anziana”. La spesa sociale loro destinata, conclude, “è diminuita e non è uniforme sul territorio”.