Idee
In questi giorni i disastrosi esiti del cosiddetto “semestre filtro” per l’accesso alle facoltà di medicina e chirurgia, odontoiatria e veterinaria si sono rapidamente trasformati in un potente “pomo della discordia”.
Il dibattito mediatico si è così polarizzato tra chi esalta la scuola d’altri tempi, rigida, selettiva e considerata altamente istruttiva, e chi invece valorizza le peculiarità delle nuove generazioni, difendendo le istituzioni scolastiche contemporanee per la loro inclusività e per l’adozione di approcci più flessibili. In sostanza, mentre i primi guardano con nostalgia al passato e scetticismo al modello educativo odierno, i secondi ne riconoscono il valore inclusivo e il potenziale per rispondere alle esigenze dell’attuale società complessa.
I giudizi aspri e corrosivi non hanno certamente risparmiato la popolazione studentesca. Nella foga, però, di voler etichettare gli aspiranti medici come poco preparati, superficiali, inaffidabili e troppo fragili e di criticare aspramente una scuola ormai incapace di formare e blanda nella selezione, si è perso di vista quello che avrebbe dovuto essere il “focus” della discussione, ovvero esprimere una valutazione obiettiva sul nuovo sistema di ammissione alle facoltà sopra citate, a quanto pare nelle ultime ore rimesso in discussione dagli stessi ideatori che stanno pensando a nuove soluzioni.
L’acceso confronto, che ha assunto il profilo di uno scontro generazionale, offre degli spunti di riflessione.
Ammesso e non concesso che molti fra i candidati abbiano confuso i sogni con le proprie reali possibilità e abbiamo fatto “il passo più lungo della gamba” – come si suol dire -, ha senso oggi pronunciare frasi del tipo “ai miei tempi”, “noi saremmo sicuramente stati in grado di…”, “oggi la scuola è molto più facile”, “i giovani di oggi non hanno il senso del sacrificio”?
Di sicuro la pratica di denigrare il presente in nome di un idealizzato passato non è nuova. Già il poeta latino Orazio criticava con pungente ironia chi esaltava il passato con l’espressione latina “Laudator temporis acti se puero” (letteralmente “lodatore del tempo passato, quando era ragazzo”), evidenziando che molti fra i detrattori del presente erano portati a trasporre il proprio sentimento di nostalgia in un assoluto giudizio morale.
Nella coscienza collettiva, la “scuola di una volta” evoca immagini di banchi allineati e lindi, docenti dall’autorità indiscussa e dal piglio glaciale, aule immerse in un silenzio siderale e a corredo compiti a memoria e verifiche puntuali. Un’istituzione, dunque, nettamente scollegata dall’attuale società, in cui tratti identificativi sono la digitalizzazione, il caos e la rapidità delle informazioni, il cambiamento continuo, la molteplicità degli stimoli e il crollo totale dei ruoli, a partire dai nuclei familiari.
Potrebbe ancora esistere, dunque, oggi una scuola come quella del tempo antico?
Forse, prima di accanirsi nei confronti degli studenti, gli “anziani” – ovvero coloro che hanno strutturato e fondato la società attuale – dovrebbero interrogarsi profondamente. Questa introspezione, se eseguita con adeguata saggezza, potrebbe condurre alla consapevolezza che oggi le competenze cognitive maturano in maniera diversa. I processi di apprendimento dei giovani riflettono un adattamento neuronale a un ambiente ad alta stimolazione, caratterizzato da ricompense rapide, attenzione frammentata e accesso continuo all’informazione, che esclude la pratica mnemonica alla quale non sono più abituati. Ciò che potrebbe apparire come un impoverimento cognitivo, in realtà è una riorganizzazione funzionale delle reti neuronali, che privilegia flessibilità, rapidità e connessione rispetto a stabilità, accumulo e profondità. Ciò non toglie che su questo scenario si muovano anche studenti fannulloni e poco affidabili, ma da qui a generalizzare…
E’ vero, la scuola di una volta ha trasmesso fondamentali conoscenze, strutture disciplinari e rigore, ma non dimentichiamo che era anche una realtà dove il tasso di abbandono e dispersione scolastica si attestava al 20-25% e l’obbligo si fermava ai quattordici anni, oggi siamo al di sotto del 10% e la maggior parte degli studenti termina il percorso dopo la maggiore età.
Senza un progetto educativo e una corretta calibrazione fra percorsi di apprendimento e test di valutazione, misure come il semestre filtro rischiano di accentuare disuguaglianze e frustrazioni. In questo quadro, il sistema di istruzione non può limitarsi a filtrare, ma deve diventare uno spazio dove acquisire preparazione significativa e capacità di orientamento, dove gli studenti non solo apprendano nozioni, ma costruiscano strumenti solidi per affrontare il percorso della loro vita.