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Alberto Dainese, a maggio ha vinto la sua prima tappa al Giro. Sul sellino del destino
Alberto Dainese, ciclista classe 1998, da piccolo guardava le corse in tv assieme ai nonni. A maggio ha vinto la sua prima tappa al Giro
Alberto Dainese, ciclista classe 1998, da piccolo guardava le corse in tv assieme ai nonni. A maggio ha vinto la sua prima tappa al Giro
Sul sito del Team Dsm, formazione professionistica olandese del World Tour di cui fa parte, nella scheda a lui dedicata, è riportato il riferimento alla sua iniziale passione per il basket, però l’altezza era quella che era… Poi un po’ di calcio e via in motorino, c’era già qualcosa insomma legata alla velocità e decisivo è stato quel suo seguire le corse in televisione, Giro d’Italia e Tour de France, a casa dei nonni. Ecco, da qui, Alberto Dainese inizia a raccontarsi, a meno di due settimane da quel suo incidente, investito da una macchina, mentre si stava allenando lì in Svizzera, dalle parti di Lugano, dove ora fa base. Qualche conseguenza se la porta ancora addosso, in pratica con quello scontro ha chiuso questo suo 2022, certo però che poteva davvero andar peggio, avanti. «Pomeriggi d’estate, sì, lì con i miei nonni, il Tour de France e prima ancora, a maggio, il Giro d’Italia. Mio zio che aveva una vecchia Berma, il cambio sul telaio, i tubolari, mi piaceva andarmene in giro da solo, l’uscire da casa. All’inizio poca salita, dopo qualche settimana però su sul Monte della Madonna, sui colli Euganei, ed è stato più avanti che è arrivato il gusto della competizione, quella adrenalina così speciale. Così ho chiesto lì a casa di iniziare col ciclismo, i miei non è che fossero proprio contenti, poi hanno finito per mettersela via. Ho cercato su internet quale fosse la squadra più vicina, è così che ho cominciato con Vo’».
Poterci stare«È stato anni dopo, dapprima da juniores e specialmente il secondo anno da U-23, che ho capito che ci potevo stare; è stato allora che ho cominciato a ricevere le prime offerte. Credo che un po’ tutti quando iniziano aspirino a salire in alto, pur non sapendo se ce l’hai davvero la stoffa e se mai ti capiterà la fortuna di arrivarci. E può essere che anche tu stesso non ci creda, chissà, però poi magari succede».
Conta la testa«Con la scuola non è stato facile, la mia fortuna, diciamo così, è stata quella di iniziare con la “primina”, è stata dura alle superiori, di mio comunque studiavo parecchio e avendo cominciato prima, già al primo anno di under, ho potuto dedicarmi del tutto alla bici. Avevo sì l’idea dell’università però è rimasta un’idea, dura conciliare. Certo che sono “serio” come dici tu, però ci vuole equilibrio, importante è la testa, prima del Giro o del Tour sono sì completamente dedicato, mica però puoi stare sempre lì concentrato, non è insomma che sto sempre attento e attento, che non bevo nemmeno un bicchiere di vino, dai… quando conta, allora sì, conta».
Occhi diversi«Di esperienze ne sto facendo tante, per certe cose mi rendo conto d’essere più avanti dei miei coetanei, loro che magari di lavoro fanno delle cose pratiche. Sì, girare il mondo aiuta, ti arricchisce, meglio che stare a casa, però non è che sei in gita. Ok, vai in Australia, ma gira e rigira è giusto hotel e la corsa, questo è. Però non è che i miei amici mi vedano come uno chissà che cosa, sono sempre io. So bene che in tanti magari pensano a Tadej Pogačar come un alieno (attuale numero uno del ranking mondiale; sloveno, a 24 anni ha già vinto due Tour de France, una Liegi-Bastogne-Liegi, un Lombardia, una Strade Bianche, due edizioni della Tirreno-Adriatico e parecchio altro ancora, oltre al bronzo olimpico a Tokio nella gara in linea, ndr), ma anche lui è giusto un ciclista, con tanto e tanto talento. Anch’io adesso loro non li vedo come li vedevo da ragazzino, mi sembravano degli dei allora. Ora sono “normali”, ne so riconoscere il talento e spesso quel che conta per davvero è la voglia che uno ci mette: c’è chi ne ha di più».
Consapevolezza«Come dire, il mio di talento credo di averlo già scoperto, mi rendo conto che non sarò uno di quelli che vince tante e tante corse all’anno, bisogna sapersi accettare. Di Pogacar ce n’è uno, di talento ne ho meno e non penso insomma di poter crescere ancora in un modo spropositato».
Traguardi«La vittoria al Giro d’Italia, lì a Reggio Emilia, certo che la ricordo, anche perché in fondo è l’unica, non è che ne abbia poi così tante da guardare. Però ogni tanto me la vado a rivedere, ne vado a scorrere un po’ di quelle foto. Il sogno nel cassetto? Una classica (nel sito della squadra è indicata la Milano-Sanremo, ndr) o una tappa al Tour, chissà se mai ce la farò, di sicuro ci proverò».
Che fatica al Tour«Ricordo il debutto al Tour, ero pure stanco dopo il Giro, quel nervosismo in gruppo specie la prima settimana. L’ho subita parecchio sta cosa, così me la sono goduta meno, tutto meno romantico e tanta fatica. Più di tutte ho comunque “sentito” l’atmosfera della prima e dell’ultima tappa, per il resto è stata giusto sopravvivenza».
Strade pericolose«Di bici ne ho tre, anzi adesso due e mezza… Una mountain bike e due da strada, una è praticamente distrutta dopo l’incidente. No, non sono proprio maniacale, non posso dire che siano splendenti, però mi piace tenermele pulite anche perché così sono più funzionali, girano meglio. Se avessi un figlio e vedendo la pericolosità che c’è ora in giro per le strade non credo che sarei contento, mi fa sempre un po’ paura allenarmi e per me, ad appena due settimane dall’incidente che ho avuto, è ancor meno facile consigliarlo: meglio la mountain bike, il fuoristrada, lì sì è certamente meglio».
Più e meno«Il privilegio che ho è quello di fare il lavoro che sognavo, con in più che pagano bene. Mi ritengo così fortunatissimo e di contro quel che mi pesa – è l’unica cosa – è lo stare tanto via da casa e dagli amici. Ecco lì c’è sofferenza, via anche per mesi: al telefono non è la stessa cosa».
Alberto Dainese, padovano di Abano Terme, classe 1998, ciclista professionista dal 2020, ha iniziato con la bici con la Scuola ciclismo di Vo’, passando poi via via alla Padovani, alla General Store, alla Zalf-Fior, alla Seg Racing Academy einfine, da professionista, alla Sunweb, formazione olandese del World Tour, ora denominata Dsm. Ha già corso Giro,Tour e Vuelta e assieme al titolo di campione d’Europa U23 della gara in linea nel 2020, nel suo palmares brilla la vittoria – volata di gruppo – nell’undicesima tappa del Giro d’Italia 2022, lo scorso 18 maggio, sul traguardo di Reggio Emilia.