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Veneto poca cosa? Dal confronto tra Paolo Feltrin e Paolo Giaretta per il forum di Limena una Regione che non conta più
Non esiste una particolare specificità veneta, anzi il Veneto si è chiamato fuori da una dimensione nazionale
IdeeNon esiste una particolare specificità veneta, anzi il Veneto si è chiamato fuori da una dimensione nazionale
Irrilevante. In politica, in parte anche nelle associazioni di categoria, e perfino nella Chiesa. C’è poco da fare, è questa, oggi, la realtà del Veneto. Non solo. Più i veneti “si agitano”, reclamano l’autonomia, recitano slogan come “padroni a casa nostra”, e più questa irrilevanza, che provoca frustrazione e rabbia, è destinata ad aumentare e ad alimentarsi.
Tesi provocatoria e non certo politicamente corretta, quella emersa sabato 22 maggio dal Forum di Limena, che ha interpellato sull’irrilevanza veneta due esperti interlocutori: il politologo Paolo Feltrin e Paolo Giaretta, saggista e già politico della Dc e del Pd.
Provocati da Alessandro Castegnaro, sociologo e tra gli animatori del Forum, i due interlocutori non si sono risparmiati. Feltrin, deposta la sua veste mediatica più conosciuta, quella di analista elettorale, si è tolto numerosi sassolini dalle scarpe, mettendo in evidenza che l’irrilevanza, a livello politico, certamente esiste, «ma le cose non sono sempre andate così. Il Veneto, fino a metà anni Ottanta, ha contato, eccome». Non casuale la scansione temporale, il 1984 è l’anno della morte di Antonio Bisaglia. Da lì, cioè dall’incoronazione come suo erede di Carlo Bernini, le cose sono andate diversamente, ma «le cause, prima che politiche, sono culturali», ha insistito Feltrin, che su questo ha chiamato in causa vari filoni, da quello venetista a quello che ricercava una supposta specificità della nostra regione, dalla sinistra alla stessa cultura cattolica. E vari personaggi, a cominciare da Giorgio Lago e da Massimo Cacciari. «Quante sciocchezze ho sentito in questi decenni – ha detto il politologo trevigiano – La verità è che non esiste una particolare specificità veneta, data invece per assodata da riviste, giornali, centri studi e fondazioni, storici e giuristi. Gli indicatori socio economici evidenziano una sostanziale omogeneità tra le regioni del Nord, e semmai la vera questione nazionale è quella del divario tra Settentrione e Meridione», ha proseguito Feltrin, secondo il quale è stato il Veneto a «chiamarsi fuori» da una dimensione nazionale. In poche parole, il Veneto è isolato, la pretesa di una falsa superiorità è divenuta la sua condanna. «Del resto, se tu continui a dire “padroni a casa nostra”, gli altri ti dicono “accomodati”, mai poi non pretendere di comandare a livello centrale. Siamo caduti in un vero e proprio “cul de sac”, dopo che fino agli anni Ottanta i democristiani veneti erano nel cuore del potere romano. Anzi, quella che Bisaglia volesse il partito bavarese è una sciocchezza colossale. Era un leader nazionale. Ma il suo erede, Bernini, iniziò a guidare l’esercito doroteo da Venezia, non da Roma. Il primo di una lunga serie. È avvenuta una sorta di “bolzanizzazione”, nessun leader della Sudtiroler ambisce a comandare a Roma». Il 1984 è il punto di rottura politico, secondo Feltrin, mentre le cause culturali vanno a suo avviso cercate nel fatto che i partiti, sia la Dc che il Pci, «hanno cercato attraverso il venetismo di smarcarsi dall’abbraccio delle loro culture di riferimento, quella cattolica e comunista», nel frattempo entrate in crisi. Difficile ora uscirne, anche perché «abbiamo creato un mito che non esiste, è una cosa che andrebbe studiata dagli analisti. In realtà, la tragedia è che lo stesso Veneto non esiste, ma ci sono i provincialismi».
Giaretta, contribuendo a illuminare vari aspetti del rapporto tra la Dc e il mondo cattolico, ha affermato di concordare su molti punti con Feltrin: «Assistiamo a un divorzio tra realtà e narrazione, nutrito spesso dalla profonda ignoranza dei fatti. Il caso del referendum sull’autonomia, al quale tutti si sono accodati, è esemplare. Un altro esempio tipico di ignoranza è quello che sta accadendo con la Tav. Assistiamo a una levata di scudi sulla sua esclusione dai fondi del Pnrr, e fingiamo di non sapere che la colpa è soprattutto nostra, visto che non abbiamo saputo risolvere il nodo del passaggio a Vicenza».
Alla fine, è la conclusione del forum, tocca dare ragione a Guido Piovene, che ancora negli anni Cinquanta del secolo scorso scriveva: «Il venetismo è una potente realtà della fantasia, che non dà noie al Parlamento».
Secondo l’ex parlamentare Paolo Giaretta, «se si vuole essere rilevanti bisogna fare e proporre cose che vanno oltre la nostra dimensione, avere un progetto più ampio. Se invece vuoi solo comandare a casa tua, ti dicono, “Bene, resta a casa tua!”». E lo stesso sogno autonomista, conclude Castegnaro, si trasforma nel «federalismo dei desideri», che non tiene conto della realtà.