Idee
Il lavoro del futuro, smart o tradizionale, dev’essere dignitoso
Basta morti. La persona al centro e non solamente la cultura del guadagno
IdeeBasta morti. La persona al centro e non solamente la cultura del guadagno
Dignità del lavoratore. Ma cosa significa dignità? Pochi giri di parole, ma un principio essenziale: non morire sul luogo in cui opera. E poi, a cascata, tutele, adeguate paghe salariali e orari non disumani. Alla teorizzazione dei futuristici modelli sociali, Gianfranco Refosco e Christian Ferrari antepongono concretezza e attualità. Per il segretario generale della Cisl Veneto e per l’omologo in Cgil, il mondo che verrà non può prescindere da raddrizzare quello che già è con le sue storture. Perché in Italia e in Veneto, l’accelerata produzione per lasciarsi alle spalle la pandemia e la relativa crisi, sta calpestando la vita dei lavoratori.
Oltreoceano, in America, la chiamano “Great Resignation”, dimissioni di massa con picchi di oltre quattro milioni di licenziamenti a settembre, secondo le stime del Whashington Post. Non si torna alle condizioni precedenti, gridano sbattendo i pugni sulle scrivanie, ma «il fenomeno in Italia e in Veneto non ha le proporzioni americane – frena Ferrari – C’è, però, un aumento di dimissioni in questi primi 10 mesi di 2021 rispetto al 2019, ma sono legati a fenomeni di burnout, quindi non sono attribuibili alla riscoperta della dimensione personale rispetto alla professione totalizzante. Qui da noi le dimissioni riguardano i servizi sanitari, un settore in trincea che ha lavorato dando oltre il massimo e dopo due anni c’è chi non ce la fa più. In Italia c’è tanta fame di lavoro e non è così automatico licenziarsi senza avere in mano un’alternativa. Però posso dire che sta crescendo il rifiuto a una domanda di lavoro di scarsa qualità, poco retribuito e precario: allora sì che è un segnale in controtendenza». E su questo punto è d’accordo anche Gianfranco Refosco: «In questa fase c’è il rischio che la cultura del lavoro venga messa fortemente in discussione. La storia e le radici della nostra organizzazione sindacale affondano nella visione di un lavoro che non è visto solo come sfruttamento o momento di abbruttimento dell’essere umano, ma anzi una componente fondamentale nella formazione della personalità e anche della crescita intellettuale, culturale e materiale.
Il nostro impegno è quello di rendere il lavoro decente e degno di essere vissuto. Purtroppo le tendenze culturali non mettono più il lavoro tra i valori fondamentali delle persone e di un popolo: gli ammortizzatori sociali consistenti se non sono collegati con un obbligo di formazione e riattivazione della persona, rischiano di creare una cultura assistenziale». È una presa d’atto di civiltà, soprattutto perché alle porte si prospetta un mercato del lavoro schizofrenico: da un lato c’è chi si troverà senza occupazione perché l’azienda chiuderà le serrande o teme di essere “espulso” dai processi lavorativi perché ha competenze non più richieste. Dall’altro lato, sempre più imprese del settore industriale, commerciale e turistico non trovano il personale di cui hanno bisogno: «Questo è un punto di grandissima tensione che dev’essere risolto al più presto – incalza ancora Refosco – L’effetto è escludere persone o invogliare le società a delocalizzare la produzione non per risparmiare sui costi, ma semplicemente perché non si trovano sul territorio competenze qualitative e quantitative». La persona al centro, insomma. Coinvolgendola anche nell’economia su scala globale perché, sottolinea Christian Ferrari, «bisogna allontanarsi dal profitto come unico elemento regolatore di un modello di sviluppo che avevamo fino al febbraio 2020». Anche perché i giorni, le settimane e i mesi di lockdown con intere aree produttive chiuse a chiave con doppia mandata, hanno fatto riemergere il lavoro di prossimità e la bottega di comunità, uomini e donne che hanno sorretto una lucina flebile di quotidianità e di speranza in mezzo al buio.
L’esigenza, dunque, è quella di «rivalorizzare e rimetterlo al centro questo lavoro: questi processi di grande trasformazione, dalla riconversione ecologica alla rivoluzione tecnologica, richiedono la centralità dell’individuo», continua il segretario veneto della Cgil che aggiunge: «La Chiesa in generale e la Diocesi di Padova sono da sempre attente ai temi sociali quali marginalità, povertà e disuguaglianze. C’è bisogno di contribuire a far passare l’idea che questi problemi non sono fallimenti dei singoli, ma grandi battaglie collettive da affrontare insieme. E questo può essere il ruolo della Chiesa per realizzare una solidarietà diffusa alla base di aspira verso una società migliore». In questo tempo fatto di contrapposizioni, di approcci rancorosi alla ricerca di capri espiatori, ecco è proprio questo il momento più fecondo per realizzare un grande patto tra i vari soggetti e rappresentanti della società. Ne è convinto Gianfranco Refosco: «Questo patto deve partire dal territorio, deve favorire una coesione sociale attraverso una ripartenza spirituale e un credere nei valori civili. E va fatto insieme. Per questo vedo nella Diocesi di Padova un ruolo importante: nelle nostre comunità, nei nostri centri e nelle nostre periferie, la Chiesa può mettere assieme tutti gli altri e farli sedere attorno a uno stesso tavolo. Per affermare cosa? C’è un rischio di una ripresa che prescinda dai valori, ci trasciniamo verso un lavoro peggiore alimentato da una deriva egoistica come stiamo vedendo nella scelta di non vaccinarsi indipendentemente dal benessere collettivo. Bisogna parlare e la Chiesa ha l’autorità morale per far sentire la propria voce e tracciare un percorso».
Christian Ferrari, segretario Cgil Veneto
Gianfranco Refosco, segretario Cisl Veneto